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CINÉMAMED 2013

Gare du Nord: Apologia del nonluogo

di 

- Interamente ambientato nella faraonica stazione parigina, la prima in Europa per traffico di passeggeri, il film di Claire Simon incrocia storie diverse, eppure in fondo simili

Gare du Nord: Apologia del nonluogo

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, quinto lungometraggio di finzione di Claire Simon, è stato proiettato nell'ambito della competizione internazionale del Festival del Cinema Mediterraneo di Bruxelles. Interamente ambientato nella faraonica stazione parigina, la prima in Europa per traffico di passeggeri e per numero di binari, il film incrocia storie diverse, eppure in fondo simili, che hanno come unico tratto comune il fatto di svolgesi nella stessa location. Il film inizia seguendo Ismaël, studente di sociologia talmente affascinato dalla Gare du Nord al punto di farne l'oggetto della propria tesi di laurea. Un giorno entra in contatto con Mathilde, docente della Sorbonne costretta a passare ogni giorno di lì per via della sua malattia. Tra i due nasce un rapporto stretto, che diventa di amore, mentre altre storie intersecano la loro: Sacha, attore televisivo in cerca della figlia perduta, Joan, ex-studentessa di Mathilde divenuta agente immobiliare, etc. 

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L'operazione di Claire Simon è particolare: sviluppare un film partendo da un luogo, o meglio, da un nonluogo, il nonluogo per antonomasia, la stazione ferroviaria. Ed è proprio all'interno di questo nonluogo che viene tessuta una complessa trama di relazioni, di storie, rivoltando la definizione del termine che ci fornisce Marc Augé, ossia quello di uno spazio che ha appunto la prerogativa di non essere identitario, relazionale e storico. Fortemente influenzata dal suo background documentaristico, la visione dell'autrice cerca di scavare nell'intimo dei propri personaggi, facendo largo uso dei primi piani, cercando di isolare gli individui dal loro contesto, e ricomponendoli in un mosaico che prende forma nel corso della narrazione. In questo senso, l'ochio della MdP è simile a quello di Ismaël, che svolge la medesima operazione al livello della narrazione, e che costituisce pertanto una sorta di concretizzazione di tale sguardo indagante. 

Ed è proprio un lavoro di ricerca documentaristica che sta alla base di quest'opera, secondo un piano lavorativo già adottato da registi come Jerry Schatzberg, Jean Eustache o i fratelli Dardenne. L'autrice, insieme agli studenti della Fémis, ha dato luogo ad una fase di documentazione selvaggia, onnivora, una produzione massiccia di girato che è andato in seguito a comporre il documentario Geographie Humaine.

“Pochi posti hanno una tale funzione di luogo pubblico, dove si incrociano tutte le classi sociali”, afferma la regista, spiegando il le ragioni della sua decisione di girare un film nella stazione parigina. “Volevo che la stazione si presentasse come una sorta di caverna mitologica che contiene i personaggi e le loro storie, rivelando gradualmente le loro paure e i loro desideri. La stazione è un quadro che rappresenta la vita e la sua durata effimera, una porta dell'inferno, un luogo di transizione dopo la quale si sparisce.” Ed è proprio la fugacità degli incontri rappresentati, e il ritorno alle proprie realtà quotidiane, che sembra affascinare particolarmente la regista.

Una nota di merito va assegnata all'ottima colonna sonora del chitarrista statunitense Marc Ribot, collaboratore storico di Tom Waits, Elton John, Mike Patton, Elvis Costello.

Prodotto da Les Films d'Ici, il film è stato presentato in anteprima mondiale all'ultimo Festival di Locarno, per poi partecipare, tra gli altri, al London Film Festival e al Thessaloniki International Film Festival.

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