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CANNES 2014 Semaine de la Critique

Hippocrate: “si impara dagli errori"

di 

- CANNES 2014: Thomas Lilti ha chiuso la Semaine de la Critique con un acuto film sull’iniziazione di un giovane medico nel mondo in crisi degli ospedali pubblici

Hippocrate: “si impara dagli errori"

Ricerca di profitti, personale sotto pressione, forniture scadenti, bugie ai familiari dei pazienti: il ritratto degli ospedali pubblici francesi di Hippocrate [+leggi anche:
trailer
intervista: Thomas Lilti
scheda film
]
di Thomas Lilti, proposto fuori concorso alla cerimonia di chiusura della Semaine de la Critique del 67° Festival di Cannes, è molto istruttivo e piuttosto cupo. E' indubbiamente notevole l’ingegnosa strategia usata dal regista per raccontare i temi sociali, e sorprende piacevolmente. Lontano dal documentario, il film parte come fiction nel suo inizio semplice e quasi comico sui primi passi di un giovane medico, prima di rivelare gradualmente la sua vera natura con un acuto ritratto di temi caldi come il dibattito sull’eutanasia, la vocazione professionale, l’approccio al dolore, l’intervento terapeutico, gli errori medici fino a quello degli esperti medici stranieri che operano come tirocinanti. Un quadro vasto intorno al labirintico edificio dai cadenti piani bassi, affollati come stazioni d’emergenza all’ora di punta in mezzo ad un balletto di valigie.

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In questo nuovo mondo è atterrato Benjamin (Vincent Lacoste), che ha 23 anni e sta cercando di sfoggiare una qualche convinzione mentre non ne ha alcuna. Perso in questo nuovo ambiente attraverso il quale viene bruscamente guidato (“questa è la tua area per sei mesi, dieci stanze, 18 pazienti") e dopo essere partito con una estenuante (soprattutto per il paziente) puntura lombare (“devi sentire un piccolo schiocco, sennò non ha funzionato"), la sua iniziazione continuerà con la scoperta frontale dei pazienti, quando bisogna accertarsi se la loro condizione richiede davvero un intervento o i turni di notte in corsia, con gli infermieri che guardano Dr House o non vogliono fare un elettroencefalogramma (perché il macchinario non funziona bene). Aiutato da Abdel (Reda Kateb), medico algerino con maggiore esperienza che non ha però un contratto come personale interno, il giovane dovrà imparare anche che il costo quotidiano di un letto è un argomento sufficiente a non alleviare le sofferenze del degente trasferendolo altrove. Distratto, a disagio o in costante ansia in un lavoro per il quale i colleghi si sfogano attraverso osceni disegni suoi muri (in sala mensa e nelle stanze dei medici), pieni di humour nero e festini selvaggi, Benjamin commetterà il suo primo errore, coperto dal suo responsabile di reparto (“Sono dalla tua perché fai parte della famiglia dell’ospedale. Quello che facciamo è già duro di per sé, non siamo superman"), e poi guardare in faccia il dolore e la morte...

Dopo l’inizio tra i corridoi dell’ospedale, Hippocrate sviluppa gradualmente una struttura  che bilancia gli aspetti più buffi delle difficoltà di Benjamin, che manca di fiducia durante le visite, e gli aspetti più drammatici con pazienti emotivi e malati terminali. Il film, che denuncia con discrezione l’alcolismo, offre un’immagine efficace e sempre più accurata. Con uno sguardo piuttosto fosco agli ospedali (lavorare per uno stipendio da miseria, in servizio con cinque infermieri quando ce ne vorrebbero dieci, un nuovo manager da Amazon, etc.), il film scivola sotto il travestimento da storia di un’amicizia (tra Benjamin e Abdel) per far suonare l’allarme di un sistema in deficit tenuto a galla dal sacrificio personale di operatori privi di una direzione. Ma fa anche riaprire il dibattito (attualmente sospeso in Francia) dell’evoluzione della legge Leonetti sui diritti dei malati terminali. Arrivare a questo punto problematico con un film apertamente “simpatico” e senza alcuna manipolazione melodrammatica è già un grande successo.

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(Tradotto dal francese)

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