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SOLETTA 2017

L’Inclinaison des chapeaux, il making of di un documentario impossibile

di 

- Antonin Schopfer e Thomas Szczepanski presentano alle Giornate di Soletta (Panorama suisse) un documentario misterioso dove la realtà duetta elegantemente con la finzione

L’Inclinaison des chapeaux, il making of di un documentario impossibile
Antonin Schopfer in L’Inclinaison des chapeaux

La 52esima edizione delle Giornate di Soletta accoglie nella sezione Panorama suisse il primo lungometraggio di Antonin Schopfer e Thomas Szczepanski L’Inclinaison des chapeaux. Schopfer aveva già illuminato Soletta grazie alla sua interpretazione di un giovane alla deriva nel film di Gabriel Bonnefoy Pipeline [+leggi anche:
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, ma questa volta ha deciso di presentarsi in vece di regista, accompagnato da Thomas Szczepanski con il quale collabora dal 2011 (Tomorrow Is Way Off). Il risultato è decisamente sorprendente. 

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E' estate, Antonin parte on the road, accompagnato da un amico-complice-cameraman-tuttofare per ritrovare suo padre che non vede da quindici anni. L’improbabile duo lascia la città per ritrovare la casa famigliare di Antonin dove quindici anni prima suo padre ha messo sua madre alla porta. Antonin vuole girare un film sull’incontro con suo padre, sul loro rapporto di amore-odio. I sentimenti che animano i protagonisti di L’Inclinaison des chapeaux sono complessi e contradditori come la vita stessa: l’affetto si scontra con il risentimento, l’incomprensione con un desiderio bruciante di verità.

L’Inclinaison des chapeaux è uno di quei film che destabilizzano, alla frontiera dei generi, inclassificabile. Ci troviamo di fronte a un documentario o a una finzione? Quello che Schopfer e Szczepanski ci mostrano sullo schermo fa parte della realtà oppure siamo confrontati a una messa in scena? Il duo di registi non ha intenzione di scegliere, perché dovrebbe farlo?

L’Inclinaison des chapeaux assume pienamente il suo statuto ibrido, tra realtà e finzione, gridando a pieni polmoni che il cinema non è una questione di formati, di sterili catalogazioni ma piuttosto un’arma contro il conformismo. Schopfer e Szczepanski ci mostrano che il cinema, quello vero, spinge alla riflessione aprendoci gli occhi su un mondo che spesso non riusciamo o non vogliamo più capire. Da questo punto di vista L’Inclinaison des chapeaux si impone a Soletta come un ufo DIY dal sapore punk. Quello che ci è dato vedere sullo schermo è una sorta di making of di un documentario improbabile dove l’amatorismo e una sorta di rinfrescante “cheesiness” diventano il motore e la linfa di tutto il film. Schopfer e Szczepanski mostrano quello che normalmente viene tenuto nascosto, come a voler dimostrare che la parte più interessante di un film è spesso quella che si svolge al di fuori del set.

Antonin dice, all’inizio del film, che il cinema non è una psicanalisi ma L’Inclinaison des chapeaux ci mostra spesso il contrario. Anche se non possiamo certo parlare di terapia nel senso stretto del termine, il cinema può essere per pubblico e regista, catartico. In molti casi la cinepresa permette di osservare la realtà con un distacco salvifico. Il passato di Shopfer, così come il suo presente sono filtrati attraverso il prisma del cinema e trasformati in qualcosa di diverso, tra cruda realtà e fantasia. La vita stessa non è forse questo, un condensato di fatti obiettivi e di sogni? L’Inclinaison des chapeaux diventa catarsi per padre e figlio che (ri)costruiscono la loro relazione grazie al processo filmico. Più il film avanza, zoppicante, incerto, più la loro realzione si fortifica, come se l’insicurezza dell’atto creativo alimentasse i sentimenti dei protagonisti. L’universo tragicomico di L’Inclinaison des chapeaux ricorda a tratti la consapevole ingenuità al vetriolo dei film di July Delpy e Vincent Macaigne o ancora l’amatorismo rivendicato dei giovani registi indipendenti americani (mumblecore). Un film che urla a pieni polmoni la sua diversità.

L’Inclinaison des chapeaux è prodotto da IDIP Films e RTS Radio Télévision Suisse e distribuito da IDIP Films.

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