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BERLINALE 2018 Panorama Dokumente

Recensione: Central Airport THF

di 

- BERLINO 2018: Karim Aïnouz punta la videocamera su un vecchio aeroporto berlinese diventato parco divertimenti e centro d’accoglienza per rifugiati per consegnarci un’opera splendida e poetica

Recensione: Central Airport THF

Il brasiliano Karim Aïnouz è palesemente ispirato dall’Europa, in modo particolare da Berlino. Già, nella finzione Futuro Beach [+leggi anche:
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, in competizione al grande festival tedesco nel 2014, il suo modo unico nell’inquadrare i suoi soggetti, il mare e i paesaggi urbani della capitale tedesca era travolgente per la sua eleganza nella più totale soggettività, per l’amore che si percepiva. Si riscopre quest’occhio di artista puro del cinema e questa dolcezza straordinariamente potente (poiché l’ossimoro che formano solitamente queste due parole svanisce qui ad ogni nuova inquadratura) nel suo documentario Central Airport THF [+leggi anche:
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intervista: Karim Aïnouz
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, una coproduzione franco-brasiliano-tedesca, proiettata al Festival di Berlino nella sezione Panorama Dokumente.

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L’opera è stata girata nel vecchio aeroporto berlinese di Tempelhof, un tempo l’orgoglio di Hitler, oggi un parco divertimenti con pista ciclabile, sport su rotelle all’ultimo grido e pattinaggio dove i berlinesi vengono a giocare che ci sia il sole o che nevichi, mentre nel capannone accanto, diviso da mura sottili che isolano una scacchiera di camerette provvisorie, alcuni rifugiati in attesa del permesso di soggiorno trascorrono le loro giornate. Traendo pienamente vantaggio dalla scenografia monumentale in cui si trova questa porta d’accesso all’Europa che risuona di un mosaico linguistico d’altrove (l’arabo, il russo…), la fotografia sottolinea a volte l’immensità di questa incredibile no man's land, a volte la paradossale ristrettezza di questo luogo utilizzato per circoscrivere i corpi umani che lo popolano (i suoi abitanti di passaggio devono passare dal metal detector per uscire, non per entrare).

Mentre le immagini si succedono, meravigliosamente una più composta, piena di senso e carica di poesia malinconica ed esistenziale dell’altra, e che si assiste alla quotidianità del centro d’accoglienza (al lavoro dei medici, dei professori di tedesco e degli assistenti sociali, agli annunci letti dagli altoparlanti dell’aerostazione, preceduti da questo ding-dong facilmente riconoscibile per i classici viaggiatori in aereo), la voce di un giovane uomo esiliato da un paese che non esiste più, ormai esangue, evoca dolcemente in arabo, i ricordi e le sensazioni che restano, il trascorrere del tempo durante questa lunga attesa, il futuro incerto. Questo poema in prosa espresso come se si leggesse T.S. Eliot non è che un elemento di un paesaggio sonoro splendido e accattivante come le immagini, un’opera d’arte per sé, con le sue voci, i suoi soffi, quel ricorrente suono d’orologio, i suoi intensi momenti musicali le cui vibrazioni arrivano fino allo spettatore attraverso il pavimento per risalire verso il suo petto.

Il documentario Central Airport THF capta con un’eleganza indicibile qualcosa di indescrivibile se non con questa fotografia senza eguali e questo design sonoro eccezionale, una sorta d’immensità del reale, una breccia dove si incrociano fugacità e continuità, un frammento d’Europa avvincente in cui il tempo e lo spazio si dilatano e si restringono contemporaneamente.

Central Airport THF è stato prodotto dalla società berlinese Lupa Film in coproduzione con tre società brasiliane e la parigina Les Films d'Ici. Le vendite internazionali del film sono assicurate dall’agenzia francese Luxbox.

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(Tradotto dal francese da Francesca Miriam Chiara Leonardi)

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