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SAN SEBASTIAN 2023 Concorso

Recensione: Kalak

di 

- Isabella Eklöf presenta un film sottile e commovente sulle ferite che ci segnano e sulla ricerca della redenzione

Recensione: Kalak
Emil Johnsen in Kalak

"Come può qualcosa essere così duro e così morbido allo stesso tempo?", dice un padre al figlio mentre gli pratica del sesso orale. Nella sequenza successiva, vediamo il figlio durante una lezione di danza tradizionale groenlandese. L'insegnante si dipinge il viso per ballare la danza della maschera. La maschera è composta da tre elementi, spiega. La commedia, la sessualità e il regno degli spiriti. E tre colori: il rosso simboleggia il sangue e la vita, il nero il regno degli spiriti e dell'ignoto, e il bianco le ossa, in ricordo dei suoi antenati.

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Con questo impressionante (e rivelatore) prologo inizia Kalak [+leggi anche:
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, il secondo lungometraggio della regista svedese Isabella Eklöf (regista di Holiday [+leggi anche:
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e co-sceneggiatrice di Border [+leggi anche:
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), co-firmata insieme a Kim Leine e Sissel Dalsgaard Thomsen e con protagonisti Emil Johnsen, Asta Kamma August e Søren Hellerup. Presentato in concorso al 71mo Festival di San Sebastian, il film è un adattamento dell'omonimo romanzo di Leine, basato sulla storia vera di un figlio che da adolescente ha subito abusi sessuali da parte del padre. Anni dopo, Jan (interpretato da Johnsen) è un infermiere di mezza età che decide di andare a vivere con la sua famiglia – la moglie e i due figli – a Nuuk (Groenlandia), dove cercherà di integrarsi nella cultura locale e di diventare un "kalak", un termine che ha il doppio significato di groenlandese "vero" e "sporco".

A partire dalla fuga del figlio, Kalak è un film sul dolore e sulla ricerca di redenzione, sulle ferite che ci segnano e che ci portiamo dietro per tutta la vita. Attraverso le relazioni che il protagonista instaura con tre donne groenlandesi, il film parla della solitudine intrinseca dell'essere umano, del desiderio di amare ed essere amati, di questa ricerca attraverso il sesso, il riconoscimento e la compagnia dell'altro. Ognuna di queste donne è diversa, ognuna porta con sé i propri fantasmi e le proprie lacerazioni vitali, ma tutte condividono con la protagonista quella profonda solitudine, quel tentativo di fuga attraverso l'altro. C'è un dialogo devastante tra una di queste donne e Jan che rivela l'essenza del film, quando, dopo avergli chiesto di andarsene, lei gli dice che è sola e lui le risponde che siamo tutti soli, che siamo tutti spezzati. Questo è uno dei pregi del film, in questi dialoghi che riescono a dire molto con poco.

Un’altra delle grandi riuscite di Kalak sta nella costruzione dei personaggi e nella loro complessità, che sono il centro della storia, il loro mondo emotivo, i loro conflitti, le loro sfumature, le loro nature contraddittorie, la loro capacità di ferirsi e allo stesso tempo di amarsi. Nonostante un certo sensazionalismo, tutto questo è raccontato con semplicità e delicatezza, con un tono cupo ed esistenzialista che è allo stesso tempo tenero e con un po' di umorismo, muovendosi tra leggerezza e profondità, con il tempo e il ritmo calmo di cui questa storia ha bisogno per essere raccontata, e attraverso paesaggi e musiche che contribuiscono a esprimere l'essenza del film.

Il più grande pregio di Kalak è la sottigliezza con cui riesce a commuovere. In un certo senso, il film è un viaggio, un viaggio emotivo attraverso il cuore del suo protagonista, le sue ricerche e la solitudine che lo circonda, e con esso una commovente indagine nei luoghi oscuri dell'anima.

Kalak è una produzione di Manna Films (Danimarca), Mer Film (Norvegia), Momento Film (Svezia), Film i Väst (Svezia), Made (Finlandia), Lemming Film (Paesi Bassi) e Polarama Greenland (Groenlandia); le vendite internazionali sono curate da Totem Films.

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(Tradotto dallo spagnolo)


Photogallery 23/09/2023: San Sebastian 2023 - Kalak

14 immagini disponibili. Scorri verso sinistra o destra per vederle tutte.

© 2023 Dario Caruso for Cineuropa - @studio.photo.dar, Dario Caruso

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