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ZURIGO 2023

Recensione: Laissez-moi

di 

- Il primo lungometraggio di Maxime Rappaz mette in scena i tormenti di un personaggio complesso che cerca di liberarsi da una prigione che si è costruito con le sue stesse mani

Recensione: Laissez-moi
Jeanne Balibar e Thomas Sarbacher in Laissez-moi

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Maxime Rappaz, regista svizzero proveniente dal mondo della moda, ci regala il ritratto di una donna di mezza età che deve, forse per la prima volta, affrontare la realtà di un’esistenza che pesa sulle sue spalle come un fardello. Sì perché malgrado Claudine sia una donna in apparenza indipendente che ha cresciuto da sola un figlio con un handicap psicomotorio, la sua vita non è che l’interpretazione quotidiana di un copione grottesco all’interno del quale incarna il ruolo della martire. Cosa succede quando le maschere cadono, quando il desiderio prende il posto delle convenzioni sociali?

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Presentato al festival di Cannes in apertura dell’ACID e in competizione allo Zurich Film Festival (sezione Focus) dove ha ricevuto la Menzione speciale, Laissez-moi mette in scena Claudine, una cinquantenne in apparenza senza storie (Jeanne Balibar travolge ogni scena con la sua inconfondibile presenza) che ogni martedì si reca in un albergo di montagna per frequentare degli uomini di passaggio. Si tratta di incontri sessuali fugaci e destabilizzanti nella loro sconcertante banalità che gli permettono di evadere da un quotidiano diventato soffocante. Malgrado provi un affetto sincero per il figlio (Pierre-Antoine Dubey) che soffre di un handicap psicomotorio, Claudine ha sempre messo i suoi bisogni, i suoi desideri in sordina, come se il suo ruolo di madre travolgesse e zittisse ogni forma di ribellione. Il suo quotidiano verrà però stravolto dall’incontro inaspettato con un uomo (Thomas Sarbacher) che decide di prolungare il suo soggiorno in Svizzera più del previsto. La protagonista, travolta da un vortice di emozioni a lungo represse, si lascia pericolosamente coinvolgere sognando una vita diversa nella quale sentirsi finalmente libera.

Presenza al contempo affascinante e destabilizzante, sagoma sfuggente che affronta settimanalmente una lunga passeggiata in montagna indossando degli eleganti stivaletti da città, Claudine decide da sola cosa fare, quando fermarsi e quale gioco giocare con i suoi amanti di passaggio. Questo personaggio ambiguo e intrigante accoglie in sé delle tensioni sempre più difficili da tenere a bada, dei moti contradditori che la tormentano nel profondo: desiderio bruciante di affermazione personale, di una libertà che sente di meritare e accettazione silenziosa della sua condizione di madre-martire pronta a tutto pur di difendere un figlio che considera come la sua battaglia. Jeanne Balibar incarna magistralmente questi moti ambivalenti, queste contraddizioni che bruciano dentro consumando ogni slancio rivoluzionario. La quotidianità di Claudine diventa la sua corazza, la scusa ideale per non occuparsi dei suoi bisogni e desideri, per non cedere ad una libertà che anela e teme allo stesso tempo.

Rappaz mette in scena una donna che non fa che interpretare dei ruoli socialmente definiti: madre coraggio, amante focosa e lavoratrice discreta, una donna che non si è mai permessa il lusso di chiedersi cosa voglia realmente e quali siano i suoi sogni. Le zone d’ombra legate ad un istinto materno che la società eteropatriarcale considera come innato, sono mostrate con coraggio, tradotte in immagini grazie a paesaggi alpini talmente mestosi da incutere timore. Anche se la relazione tra Claudine e il suo amante sfocia a volta nel too much (pensiamo per esempio alla scena di sesso che li vede immersi in una natura quasi paradisiaca) spingendoci a credere che solo il sesso (etero) possa guarire da una cocente angoscia interiore, Rappaz evita (e gliene siamo grati!) la trappola dell’happy end finale. Sebbene Claudine ci faccia credere di potersi liberare come per magia e per amore dalle sue angosce, alla fine si rende conto che è proprio con queste che è sposata. La sua salvezza non si rivela allora la fuga ma il confronto con quell’oscurità che la divora e rassicura.

Laissez-moi è prodotto da dalla svizzera GoldenEggProduction, dalla francese Paraiso Production, dalla belga Fox the Fox e dalla RTS Radio Télévision Suisse. È venduto all’internazionale da M-Appeal.

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