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BLACK NIGHTS 2023 Critics’ Picks

Recensione: Kalman’s Day

di 

- L'affermato regista ungherese Szabolcs Hajdu dipana le frustrazioni e i dilemmi esistenziali di due coppie in piena crisi di mezza età

Recensione: Kalman’s Day
Szabolcs Hajdu e Orsolya Tóth in Kalman’s Day

Nel suo film vincitore del Globo di Cristallo a Karlovy Vary, It’s Not the Time of My Life [+leggi anche:
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, l'ungherese Szabolcs Hajdu scavava in profondità nelle relazioni familiari e personali, mentre nel suo film successivo, Treasure City [+leggi anche:
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, ha osato esplorare ulteriormente il lato oscuro della psiche umana. Elementi di entrambi si mescolano nel suo ultimo lavoro, Kalman’s Day [+leggi anche:
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intervista: Szabolcs Hajdu
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, attualmente in concorso nella sezione Critics' Picks del Festival Black Nights di Tallinn. In un'ambientazione minimalista e con un modesto cast di cinque attori – si tratta in realtà dell'adattamento per lo schermo di una pièce teatrale, messa in scena dallo stesso team – il dialogo e l’interazione emotiva sono al centro del film. Statico in termini di azione ma freneticamente dinamico nello scambio di spunti verbali, Kalman's Day assomiglia a una seduta di terapia dall'esito oscuro, durante la quale si sfoga la rabbia, si lavano i panni sporchi in pubblico e si invita lo spettatore a versare una lacrima o a mordere un pezzo di carne da una ferita sanguinante.  

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La nostra attenzione viene catturata già nella scena iniziale, quando Kalman (interpretato dallo stesso Hajdu) borbotta sia sull'educazione liberale che sulla cognata, che pretende un altro favore dalla sua famiglia. La sua esasperazione nei confronti del mondo fa presagire una tempesta che la moglie, Olga (Orsolya Tóth), tempera diligentemente con piccole chiacchiere sulle questioni pratiche, anche se inevitabilmente non riuscirà a rimandare il discorso sulla loro vita sessuale sopita. Quando arrivano la chiacchierona sorella di lei, Zita (Nóra Földeáki), e l'apparentemente tranquillo marito Levente (Domokos Szabó), Kalman e Olga hanno già raggiunto un livello di comunicazione abbastanza civile da mascherare l'insofferenza reciproca di lunga data e da gestire la furia reciproca degli ospiti senza troppe brutte sorprese. Dopotutto, è l'onomastico di Kalman, quindi è una buona scusa per bere qualcosa!

Senza essere particolarmente innovativo – eredita alcuni motivi da Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, Carnage [+leggi anche:
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di Roman Polanski e il recente Anatomia di una caduta [+leggi anche:
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intervista: Justine Triet
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di Justine Triet – il film affronta temi come la difficoltà di comunicare il proprio amore in un modo che l'altro possa cogliere e l'impossibilità di riceverlo nella forma desiderata. E quindi parla intimamente – in modo simile a tutti i capolavori citati – a chiunque stia sopportando una relazione e tutti i suoi difetti, e ancora di più a coloro che si trovano "in una selva oscura nel mezzo del cammin di loro vita", per parafrasare Dante, un luogo della vita in cui le prospettive future possono talvolta sembrare più sconcertanti di quanto non fossero in gioventù.  

Nitido, conciso e diretto al punto, piuttosto che profondamente analitico, l'effetto complessivo di Kalman's Day è come quello degli shot di palinka che i personaggi bevono qua e là per calmare i nervi: ti riscalda, ma senza annebbiarti la mente con vane speranze che le cose migliorino. Da una certa età in poi i tentativi non si concentrano più sulla possibilità di cambiamento, ma piuttosto sull’accettazione che il cambiamento potrebbe non avvenire mai.

Kalman’s Day è prodotto dalla società ungherese Látókép Production in coproduzione con la slovacca MPhilms e con l’americano Jim Stark.

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(Tradotto dall'inglese)

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