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FILM / RECENSIONI

Il nastro bianco

di 

- Misteriosi eventi turbano la vita apparentemente tranquilla di un villaggio tedesco nel 1913. Un'opera sontuosa in bianco e nero vincitrice della Palma d'Oro a Cannes 2009

Habituè del concorso del Festival di Cannes fin dal 1997 e vincitore nel 2001 del Gran Premio della Giuria con La Pianista [+leggi anche:
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, l'austriaco Michael Haneke sposa il rigore del bianco e nero per la sua nuova opera Il nastro bianco [+leggi anche:
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intervista: Michael Haneke
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, dopo lo sconfinamento americano del 2007 con il remake del film che lo aveva rivelato dieci anni prima, Funny Games.

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Il nastro bianco che da il titolo al film è quello che il severo pastore protestante di un isolato villaggio del Nord della Germania nel 1913 (Burghart Klaussner, Good bye Lenin! [+leggi anche:
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intervista: Wolfgang Becker
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, The Reader [+leggi anche:
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) annoda al braccio e tra i capelli dei due figli maggiori perché ricordino di conservare la purezza e tenersi lontani dal peccato e dalle tentazioni.

Purezza e integrità sono proprio le virtù che sembrano essere scomparse da questo villaggio, per dare il posto a “malizia, apatia, brutalità ed invidia”, per usare le parole di un altro personaggio della storia, la moglie del Barone (Ursina Lardi).

Attraverso l'anziana voce fuori campo (Ernst Jacobi) del maestro di scuola locale (l'esordiente Christian Friedel) ci vengono lentamente presentati, a molti anni di distanza dai fatti, tutti gli abitanti di questa Peyton Place teutonica ante litteram: il già citato pastore e i suoi figli; il medico (Rainer Bock) e i suoi figli; il Barone (Ulrich Tukur, La vita degli altri [+leggi anche:
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) con la Baronessa e i loro bambini; l'amministratore della tenuta (Josef Bierbichler) ed i suoi figli; la levatrice (Susanne Lothar) con il suo bambino; il contadino (Branko Samarovski)ed i suoi figli. I bambini e gli adolescenti sembrano avere da subito un ruolo primario, vittime e forse anche carnefici in questa ronde dell'ipocrisia.

Il maestro, che non essendo nativo del luogo ha il ruolo dell'osservatore, introduce subito lo spettatore al primo di una serie di incidenti che sembrano avere il carattere della vendetta e della punizione rituale. Qualcuno ha teso una corda tra due alberi ed il dottore è caduto da cavallo, fratturandosi le ossa. E chi è colpevole dell'aggressione al figlio del Barone, chi acceca ferocemente il bambino handicappato della levatrice?

La polizia locale indaga senza ottenere risultati. Nessuno parla. È troppo grande la paura dello sfaldamento di una microsocietà che si tiene precariamente assieme solo grazie alle convenzioni sociali e religiose. In ogni nucleo familiare si nasconde un segreto: il dottore ha una ormai stanca e malata relazione con la levatrice ed un molto più malato rapporto incestuoso con la figlia; la baronessa annuncia al ruvido marito di volerlo abbandonare perché è innamorata di un ricco e gentile italiano. Ed il pastore, con la sua inflessibilità, è il responsabile indiretto della aggressività che serpeggia nel villaggio.

Sesso e morte, che percorrono il cinema del freudiano Haneke sin dai sui esordi, giocano la loro partita a scacchi in questo microcosmo chiuso e oppresso, fotografato con fredda severità da Christian Berger. La delicata relazione tra il maestro e la giovane Eva (Leonie Benesch), chiamata ad accudire i piccoli gemelli della Baronessa, rappresentano il contraltare, l'innocenza possibile in un mondo che sembra senza salvezza. La Grande Guerra è ormai alle porte e forse la violenza assoluta del conflitto spazzerà via - come in un motto futurista - i mali interiori. Ma i bambini di quel villaggio di dannati non sono altro che le future reclute del Terzo Reich.

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