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CANNES 2011 Un Certain Regard / Germania

Stopped On Track: una lezione di vita sull’implacabile dinamica della morte

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Secondo film quest’anno a Cannes sul tema del tumore al cervello dopo l’emozionante Declaration of War [+leggi anche:
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di Andreas Dresen affronta la questione da un punto di vista completamente diverso, diretto e spietato, raccontando gli ultimi mesi di vita di un uomo condannato a morte dalla medicina. Impeccabile dal punto di vista formale e capace di coinvolgere qualsiasi spettatore, il film è stato presentato oggi al Certain Regard del 64mo Festival di Cannes, sezione che nel 2008 è valsa al regista tedesco il Premio Coup de Coeur della giuria per Settimo Cielo [+leggi anche:
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La scena iniziale del film ci mostra Michel (Milan Peschel) mentre viene a sapere, accompagnato dalla moglie Simone (Steffi Kühnert), di avere un tumore al cervello inoperabile. Il tono estremamente realistico, drammatico e clinico di Stopped On Track non lascerà nessuna via d’uscita possibile allo spettatore, al quale non verrà risparmiato il degrado fisico e mentale, quasi un'estensione del consiglio iniziale del medico su come Michel e Simone possono spiegare ai due figli di otto e quattordici anni la situazione: “Ciò che si vuole sapere, lo si sopporta più facilmente”.

Lo choc e l’angoscia terrificante dell’idea di una morte imminente, la violenza degli effetti secondari della radioterapia e della chemioterapia, la perdita progressiva della mobilità fisica, della memoria e della lucidità, cure psicologiche, alternative (la cassetta di sofrologia sull’auto-guarigione) e puramente mediche: lo spettatore assiste nel dettaglio a tutte le tappe della morte giorno per giorno, sino all’ultimo respiro. E Michel non è né un eroe, né un codardo, è un uomo come tutti gli altri che ha paura della morte. Una paura che affronterà talvolta bene, talvolta male, nella sua casa, vicino a sua moglie e ai suoi figli.

Commovente, a volte duro, sempre coinvolgente, Stopped On Track è scandito da tre stagioni, dall’estate all’inverno, e si svolge nella cornice quasi esclusiva di una casa di campagna. Una concessione del regista che permette al pubblico di respirare un po' visivamente, in un racconto in cui la posta in gioco rende l’atmosfera davvero molto pesante. Senza abbandonare il suo principio di veridicità (che spesso sfiora l’incitamento al suicidio), Andreas Dresen tuttavia apporta qualche (raro) cambiamento di ritmo e qualche momento (relativamente) ottimista con due canzoni suonate da Michel con la chitarra elettrica. Il cineasta completa una regia molto elaborata, sotto un apparente stile semplice e calmo, con diversi passaggi, una sorta di diario di Michel che si filma con il telefonino. Evitando di aggiungere troppo pathos a un tema che ne è già sovraccarico, Dresen conferma, dopo Settimo Cielo e la sua visione della sessualità nella terza età, di essere un autore che non ha decisamente paura di affrontare temi così delicati.

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(Tradotto dal francese)

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