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VENEZIA 2011 Concorso

A Dangerous Method, l’amore ai tempi della psicanalisi

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, alla Mostra di Venezia.

Nel 1904, Sabina Spielrein (Keira Knightley), una giovane donna malata di isteria, diventa la paziente dello psicoanalista Carl Jung (Michael Fassbender). Tra loro di sviluppa una relazione fisica che Jung decide di tenere segreta al suo confidente e mentore Sigmund Freud (Viggo Mortensen). Questo tradimento iniziale è l’inizio di una profonda discordia fra i due. Jung e Freud concordano su alcuni temi, ma la loro posizione differente sul futuro della psicanalisi ed i suoi campi di sperimentazione li costringe a portare avanti le loro ricerche in diverse direzioni.

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di Cronenberg, resteranno forse sconcertati dal classicismo di A Dangerous Method che, per molti versi, ricorda l’approccio di Stanley Kubrick a Barry Lyndon. Accurato e documentato, soprattutto quando mostra i macchinari usati da Jung per i suoi esperimenti, Cronenberg si è dato il difficile compito di raccontare la storia di un triangolo amoroso e insieme riassumere le teorie associate a Freud e Jung. Tali teorie sono esposte in dialoghi concisi e mai noiosi grazie al ricco materiale portato con intelligenza sullo schermo, senza bulimie o eccessi di sorta. I principi fondanti sono messi insieme in poche citazioni evocative. "Ci dev’essere più di una forza dominante nell’universo", dice Jung quando sfida la spiegazione di Freud che riporta i disordini psicoanalitici alla sola causa sessuale. Per il maestro, “il mondo è com’è e non c’è possibilità di sostituire una disillusione con un’altra". È un’idea conservatrice che contrasta con il futuro possibile che Jung promette ai suoi clienti nel percorso verso la guarigione. Cronenberg ha mostrato di rado così tanta moderazione nei suoi film. La decisione di non aggiungere sensazionalismo portando i sogni sulla scena (spesso solo evocati) è una forma particolarmente intelligente di umiltà artistica.

Mentre la regia cementa il film, il cast gli dà i tocchi finali. Mortensen dona al Dottor Freud la presenza patriarcale che giustifica il titolo di "figura paterna" assegnatagli da Jung, interpretato da un elegante Fassbender, che sta a guardia di un mondo interiore dove, a differenza del suo mentore, non regna la pace. Vincent Cassel, in un perfetto inglese, interpreta una sua versione di Otto Gross — l’elemento disturbante — con maggiore libertà degli altri attori. La figura di Freud è troppo nota per concederle una eccessiva libertà attoriale, e Mortensen adotta ogni movenza fisica, ogni accessorio e accento straniero (l’unico del film). Jung ha un’immagine pubblico meno forte, e questo consente a Fassbender una performance più personale. Ma è soprattutto la Knightley, con il suo aspetto fisico fragile e le sue smorfie sofferenti, a consegnare una performance ottima, piena di simboli che preludono all’immagine dei corpi che saranno scoperti alla fine della Seconda Guerra Mondiale. È con questa esperienza premonitrice di Jung — una delle principali fonti di discordia col maestro — che il film si chiude. Ed è questo il mondo a cui il regista indirizza le critiche del regime nazista contro Jung. Per quanto riguarda il ruolo dello psicanalista durante la Guerra, non ne sappiamo di più, perché Cronenberg racconta il periodo 1904-1934 senza neanche menzionare il conflitto.

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(Tradotto dal francese)

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