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CANNES 2013 Un Certain Regard

My Sweet Pepperland: fate l'amore, non la guerra

di 

- Hiner Saleem posa il suo sguardo pieno di umorismo, speranza e musica sul caos e gli arcaismi di un Kurdistan che guarda al futuro

La prima scena della coproduzione franco-tedesco-irachena My Sweet Pepperland [+leggi anche:
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scheda film
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di Hiner Saleem (prodotto da Robert Guédiguian) la dice lunga sull'umorismo bonario e bizzarro con cui il regista tratta la situazione del Kurdistan attuale, una regione lasciata in rovina da Saddam Hussein che cerca un nuovo ordine ma non sa ancora, per ricostruirsi, a cosa fare riferimento. Questo prologo mostra infatti l'esecuzione quanto mai sommaria (o meglio, completamente fallita) di un uomo i cui piedi toccano ancora per terra dopo che hanno cercato a gran fatica di togliergli da sotto i piedi un'urna di plastica (probabilmente usata alle ultime elezioni locali), al punto che il pugno di autorità presenti, divise sul significato di questa impiccagione mancata e sul seguito da dare ad essa, finisce per appendere l'uomo a un canestro da basket.

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Su musiche e coreografie che evocano discretamente certi film di Bollywood, conosciamo poi la bellissima Govend (Golshifteh Farahani), che ottiene il permesso da suo padre e dal suo esercito di fratelli di rifiutare il matrimonio combinato per lei e di andare a insegnare in un villaggio isolato al confine con l'Iran, la Turchia e l'Iraq. Parallelamente, Baran (Korkmaz Arslan), un ex combattente che non vuole riciclarsi in sceriffo municipale, finisce, davanti alla bruttezza delle possibili mogli propostegli da sua madre, per accettare un posto nello stesso paesino. Così, ognuno per conto suo, l'insegnante risoluta, sorridente e dolce (come le melodie che fa uscire dal suo hang, un tamburo di metallo che risponde armoniosamente alle sue carezze), e il capo della polizia duro ma amichevole (i suoi musicisti preferiti sono Elvis, Bach e Mozart) si dirigono verso questo villaggio, attraversando fiumi e canyon superbi degni di un western, come sottolinea la colonna sonora con solennità comica.

Sul posto, ricevono un'accoglienza fredda. Govend trova chiusa la porta della casa dove alloggia, sprovvista di riscaldamento. Baran, dal canto suo, è atteso dalle file di foto e cappelli dei suoi predecessori e dal signore locale, di nome Azzi Aga, che con i suoi scagnozzi detta legge nel villaggio, mentre nel bosco circostante si continua a combattere armi alla mano contro queste autorità arcaiche (e misogine, naturalmente) che rimpiazzano l'ordine con il terrore.

La leggerezza colorata da racconto esotico del film non viene meno neanche un momento. Mentre partono gli accordi di un lacerante pezzo blues, le nostre due amabili figure di un Kurdistan nuovo sono sul punto di piegarsi alla reticenza dei compaesani, che non accettano la giovane donna non sposata così come lo sceriffo che osa voler ristabilire la giustizia che Azzi Aga manipola impunemente. Questa difficoltà comune ai due nuovi arrivati avvia pertanto un dialogo, ma perché il suono di un'altra campana, il canto armonioso della Liberazione, abbia la meglio sulla cacofonia del vecchio caos, il faccia a faccia finale dovrà essere radicale, come in ogni buon western.

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(Tradotto dal francese)

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