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EDITORIALE

Editoriale: Come il digitale sta cambiando il modo di programmare le sale

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- Il passaggio alla proiezione digitale non è la mera sostituzione di una tecnologia con un’altra: deve servire per rispondere alle esigenze dei diversi tipi di pubblico

Il passaggio alla proiezione digitale non è – o non dovrebbe essere – la mera sostituzione di una tecnologia con un’altra. Sarebbe infatti uno spreco di energia e risorse se questo cambiamento, con l’impegno e le difficoltà che comporta anche a livello finanziario, si traducesse soltanto nell’utilizzo di un nuovo proiettore per continuare a fare ciò che si è sempre fatto, senza ricercare un apprezzabile vantaggio per gli spettatori.

Si tratta allora di individuare le potenzialità che derivano dalle nuove tecnologie, in termini di miglioramento dell’esperienza cinematografica, ad esempio attraverso una maggiore flessibilità nella programmazione e l’ampliamento dell’offerta – a cominciare da quella dei film sino agli spettacoli dal vivo – oppure grazie all’integrazione con nuovi strumenti come i social media.

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L’obiettivo è meglio rispondere alle esigenze dei diversi tipi di pubblico, creando una proposta varia e differenziata, quasi “à la carte”.

Tra i vantaggi consentiti dalla digitalizzazione, un posto di rilievo è occupato dalla cosiddetta multiprogrammazione: con un proiettore digitale è infatti molto più semplice mostrare più di un titolo – o anche contenuti alternativi – su uno stesso schermo nel corso della giornata, in modo da soddisfare diversi settori di pubblico. Ad esempio si potrà proiettare nel pomeriggio un film d’animazione rivolto ai ragazzini, senza doverlo necessariamente mantenere nel programma della serata.

Tuttavia, in alcuni territori, come l’Italia, questo tipo di accordi tra distributori ed esercenti non è una prassi consueta.

In molti paesi europei, invece, la multiprogrammazione è ben accettata e praticata da categorie di strutture anche molto diverse tra loro, tra cui le sale d’essai cittadine ed i cinema delle aree extra urbane.

Un primo esempio di cinema che ha fatto della multiprogrammazione la sua caratteristica distintiva è il Kino Hawkhurst, un piccolo monoschermo (91 posti) situato nell’omonima cittadina del Kent.

Aperto nel 2006, il Kino Hawkhurst è stato il primo cinema del Regno Unito a nascere senza il proiettore 35mm. Fin dalla fondazione ha voluto rispondere alle esigenze diversificate del pubblico di questa area, in cui esso rappresenta praticamente l’unica meta cinematografica.

La programmazione della sala è non solo ricca (si arriva a 42 proiezioni alla settimana) ma anche differenziata.

Grazie a questo approccio, totalmente incentrato sulla segmentazione del pubblico, Kino Hawkhurst si è col tempo trasformato da sala a servizio di una comunità locale in un centro di attrazione anche per chi, vivendo in un’altra parte del Kent o nell’East Sussex, potrebbe facilmente raggiungere anche un multiplex dalla programmazione più standard.

Dando uno sguardo al cartellone dell’ultima settimana, si capisce subito quanta importanza dedichino i gestori di Hawkhurst alla flessibilità e alla molteplicità dei contenuti.

Lunedì 17 giugno, per esempio, si poteva trovare un blockbuster come Il Grande Gatsby per lo spettacolo delle 20.45, mentre nel pomeriggio ben due proiezioni (alle 13.00 e alle 18.30) erano dedicate ad una produzione inglese come Summer in February (Christopher Menaul, 2013),  l’adattamento cinematografico di un romanzo su una comunità di artisti raccoltasi in Cornovaglia all’inizio del ‘900. Alle 15.00 si proiettava invece Behind the Candelabra, la biografia del pianista Liberace presentata da Steven Soderbergh all’ultimo Festival di Cannes.

Se guardiamo gli spettacoli del martedì 18, vediamo che Il Grande Gatsby era stato spostato alla mattina, alle 9.45, per lasciare il posto, la sera, a Behind the Candelabra, mentre Summer in February restava al pomeriggio.

Non viene certo trascurato il pubblico più giovane: nel pomeriggio di domenica 16 giugno, ad esempio, era in programma il film d’animazione giapponese Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki.

E c’è posto anche per i contenuti alternativi: scorrendo la programmazione, si possono trovare infatti Pompeii Live, una visita virtuale dell’antica Pompei realizzata in collaborazione con il British Museum, oppure la danza, con The Royal Ballet Dances Frederick Ashton (registrato alla Royal Opera House a febbraio del 2013), o ancora il teatro shakespeariano, con Globe On Screen: Twelfth Night.

Hawkhurst prova quindi come sia possibile moltiplicare e diversificare l’esperienza cinematografica del pubblico, pur avendo a disposizione soltanto uno schermo e trovandosi fuori dalle grandi aree urbane.

Ci spostiamo invece nel pieno centro di Copenhagen, in Danimarca, per vedere come la multiprogrammazione venga sfruttata da un cinema d’essai all’avanguardia come il Grand Teatret: un’istituzione nella città, con il suo secolo di storia, ma anche una struttura perfettamente “moderna”, avendo completato la digitalizzazione delle sue 6 sale nel 2012.

Il contesto, rispetto ad Hawkhurst, è ovviamente molto diverso, ma simile è la grande attenzione alla programmazione.

Il Grand ha infatti una lunga tradizione di cinema di qualità e d’essai.

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Per concludere questa panoramica di esperienze europee, ci spostiamo ancora più a nord, in Finlandia, un altro territorio dove la multiprogrammazione è uno strumento non solo accettato, ma anche comunemente diffuso, fin da prima che le nuove tecnologie ne facilitassero l’attuazione.

Ecco che cosa ne pensa Elise Brandt del cinema Studio 123 di Kuusankoski, cittadina a circa 80km a nord-est di Helsinki:

La cosiddetta multiprogrammazione è il modo in cui lavoriamo in Finlandia fin da quando sono entrata nel settore (circa 20 anni fa ormai) e, per quanto ne so, è stato sempre così.

Mi sembra che non abbia senso infatti comportarsi diversamente! Proiettare un film per ragazzi alle 20.00 – oppure un horror il primo pomeriggio in settimana, quando il suo pubblico ideale è seduto in classe – non serve a nessuno, soprattutto nel caso di cinema che abbiano meno di 3 schermi, quando i fine settimana più intensi possono avere addirittura 5 o 6 nuovi titoli che escono lo stesso venerdì.

Dobbiamo semplicemente affidarci alla nostra esperienza come esercenti per capire quale titolo possa funzionare e in quale spazio della programmazione.

Per fortuna qui i distributori hanno fiducia nella nostra conoscenza del mercato e delle esigenze degli spettatori. Francamente non riesco ad immaginare un distributore che concluda un contratto che imponga su uno schermo, per un’intera settimana o più, un unico titolo.

Gli accordi che facciamo qui dicono semplicemente che noi esercenti siamo autorizzati a proiettare un film in un certo periodo, nell’orario che ci sembra più opportuno.

E questo perché più guadagniamo noi da un film come esercenti, più guadagnano anche loro come distributori.

I contenuti alternativi sono spesso programmati al di fuori dei cosiddetti “orari di punta”, perché gli spettatori per questo tipo di eventi sono spesso diversi dal pubblico dei film.

Inoltre, i biglietti per gli eventi sono prenotati con molto anticipo, mentre andare al cinema è spesso un’idea del momento.

Potete immaginare un monoschermo obbligato a scegliere un titolo alla settimana e continuare a programmare quello? Io non ci riesco.


Questo articolo è stato pubblicato su “Cinema & Video International" n° 6/7, luglio 2013.

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