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BERGAMO 2016

Dust Cloth, donne che sognano un futuro

di 

- Il film de Ahu Öztürk ci rivela da subito l’approccio realista tipico del nuovo cinema d’autore turco

Dust Cloth, donne che sognano un futuro
Asiye Dinçsoy e Asel Yalin in Dust Cloth

Periferia di Istanbul, sulla sponda asiatica della città. Tenendo per mano la figlioletta Asmin, la giovane Nesrin va in cerca del marito Cafer che l’ha abbandonata senza un motivo. Dust Cloth [+leggi anche:
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intervista: Ahu Öztürk
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(letteralmente, straccio per la polvere), in concorso al Bergamo Film Meeting dopo il passaggio al Forum della Berlinale lo scorso febbraio, ci rivela da subito l’approccio realista tipico del nuovo cinema d’autore turco. Come la protagonista del film, la regista e sceneggiatrice Ahu Öztürk è kurda. Ma questa volta la “questione kurda” - che ha ispirato negli ultimi anni numerosi registi del nuovo cinema turco (Kazim Oz, Miraz Bezar, Sedat Yilmsz, Zeynel Doga e Orhan Eskikoy, Ferit Karahan) - non è vista in termini di persecuzione e violenza. Ma, come ha spiegato la stessa regista in un’intervista a Cineuropa, “di osservazione della classe media turca”.

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Lo studio dei rapporti di classe in cui Nuri Bilge Ceylan si è così magnificamente applicato con i suoi film, viene ribaltato dalla regista di Dust Cloth. Ad osservare i borghesi della capitale sono infatti Nesrin (Asiye Dinçsoy, Yozgat Blues [+leggi anche:
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), che fa la donna delle pulizie negli eleganti appartamenti di Kadıköy, e la sua collega e amica più anziana Hatun (Nazan Kesal, interprete di quasi tutti i film di Ceylan). La prima dimessa e inquieta, ossessionata dalla fuga del marito, la seconda effervescente, ironica, con marito sfaticato e con il sogno di avere una propria casa. Tanto da andare in una chiesa cristiana a invocare il miracolo, sperando che Allah non lo consideri un peccato. I pettegolezzi che le due donne si scambiano sulle loro padrone sono pura critica sociale e di costume. Il loro miraggio è fatto di un lavoro stabile con l’assicurazione e una bella casa.  La realtà è fatta invece di ostacoli e frustrazioni. La “fatica di vivere” illustrata con critica riflessiva dal recente cinema d’autore turco, come rileva Giovanni Ottone nel suo recente volume “Nuovo Cinema in Turchia” (Ed. Falsopiano). Un altro tassello nel mosaico di un Paese dalle tante identità che stenta sempre di più a fare, come ci si aspettava, da cerniera tra Europa e medioriente. 

Dopo gli studi di filosofia e cinema, Ahu Öztürkha diretto documentari e partecipato al film collettivo Tales from Kars, prodotto dal Festival on Wheel di Ankara con il corto Open Wound, storia di Ozan che torna a casa per un funerale e scopre tutta la verità sulla storia della sua famiglia. Dust Cloth è il suo primo lungometraggio, coprodotto da Ret Film con la tedesca The Story Bay, e segna la nascita di un’autrice che si unisce alla quarta generazione di registi turchi che animano con riconosciuta ricchezza la cinematografia europea e mondiale.

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