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SUNDANCE 2017

The Good Postman: il mondo secondo Ivan

di 

- Tonislav Hristov offre un punto di vista commovente, pertinente e sorprendentemente universale sulla crisi dei rifugiati

The Good Postman: il mondo secondo Ivan

Il film documentario del regista bulgaro Tonislav Hristov The Good Postman [+leggi anche:
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, produzione bulgaro-finlandese proiettata nella Competizione Documentari Internazionali del Sundance Film Festival, fonde efficacemente due questioni sociali molto diverse del Sud-Est europeo moderno: la crisi dei rifugiati e lo spopolamento. Situato in posizione strategica nel Gran Dervent, villaggio bulgaro la cui posizione a pochi chilometri di distanza dal confine con la Turchia l'ha reso teatro di una serie di eventi importanti nel corso della storia, The Good Postman mostra diversi - ora accattivanti, ora snervanti - punti di vista su questi problemi urgenti.

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Nei primi fotogrammi del documentario, vediamo Ivan (Ivan Fransunov), il postino di Gran Dervent, che cammina su una collina fuori dal villaggio. Scruta l'orizzonte con un binocolo e chiama la polizia di frontiera: i rifugiati siriani da qualche tempo passano per il paese, nel tentativo disperato di arrivare a Sofia, la capitale, nella speranza di una vita migliore - o almeno più sicura - in Europa. Scopriamo presto che Ivan si candiderà come sindaco di Gran Dervent, andando contro la sindaca uscente, l'indolente Vesa, e Halachev, un quarantenne comunista disoccupato.

È uno sfondo eccellente per discutere di questioni di proporzioni probabilmente globali, poiché la voce principale dell'agenda di Ivan è una politica che - almeno in parte - contribuirebbe a risolvere i problemi regionali e sociali locali. Un tempo fiorente comunità, Gran Dervent sta ormai morendo, poiché solo 40 anziani abitanti vivono ancora lì. Ivan ha intenzione di far abitare i rifugiati nelle molte case fatiscenti e deserte, riportando così in vita il paese. Vagando lentamente per i vicoli sterrati con la sua borsa da postino in spalla, spiega il suo punto di vista agli anziani abitanti del villaggio, durante conversazioni toccanti che dimostrano che il buon senso può essere più facile da trovare in un villaggio di quanto non lo sia in un vertice internazionale.

Con la sua macchina da presa trasformata in un osservatore silenzioso, apparentemente oggettivo, Hristov scopre momenti speciali di comunicazione sociale e di buona volontà, ma anche il contrasto tra l'ospitalità teorica e quella pratica. Cosa ancora più importante, coglie il contrasto tra gli aspetti nazionali e personali della crisi.

Ex Paese comunista, la Bulgaria ne sa qualcosa di questi contrasti, derivanti dalla terribile mancanza d'interesse per le questioni sociali dei suoi leader: ciò viene sviscerato - metà comicamente, metà in modo struggente - tramite un commento di un anziano del villaggio, che ricorda l'era comunista, quando il confine passava tra il villaggio e il suo cimitero, e gli abitanti del villaggio necessitavano di passaporti per visitare le tombe dei loro antenati. Le cose non sono molto diverse oggi, quando il sindaco uscente, la quasi catatonica Vesa, che passa il tempo ad ascoltare musica chalga nel suo ufficio, ammette a un certo punto che è del tutto indifferente alla crisi dei rifugiati.

Riflessione sia sul destino di una comunità morente che sulla fragilità della vecchiaia, The Good Postman mescola in modo toccante punti di vista regionali, locali e personali, creando un ritratto sorprendente e complesso della vita, della politica e della comunità. Può un villaggio di 40 persone diventare lo sfondo per un'importante discussione sulla politica mondiale? Certamente, e in The Good Postman ciò accade. La post-verità, la propaganda, la xenofobia, la demagogia, la nostalgia comunista e il cinismo sociale si scontrano tutti sotto lo sguardo triste di Ivan, mentre Hristov confeziona la battaglia politica super importante di Gran Dervent in una storia altamente efficace, a forma di Uroboro, di lotta e comprensione.

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(Tradotto dall'inglese)

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