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LECCE 2017

Framing Mom: chi siamo, da dove veniamo

di 

- In concorso al 18° Festival di Lecce, il quarto lungometraggio di Sarah Johnsen è la storia, per niente scontata, di una giovane donna che cerca sua madre

Framing Mom: chi siamo, da dove veniamo
Ruby Dagnall in Framing Mom

Amore e sesso, famiglia e adozione, trattati liberamente, senza gravità e con risvolti tutt’altro che scontati, sono al centro di Framing Mom [+leggi anche:
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della norvegese Sara Johnsen. La pluripremiata regista di Upperdog [+leggi anche:
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ha scritto e diretto questo suo quarto lungometraggio, in concorso al 18° Festival del cinema europeo di Lecce, con una freschezza e una leggerezza salutare e inaspettata, nonostante il film parli di abbandono e di ricostruzione dolorosa delle proprie radici. Una ricerca di identità che si fonde con una riflessione sui rapporti umani, biologici e non, sulle relazioni sentimentali piene di contraddizioni e ombre, e anche sul ruolo dei media nel riportare a galla verità nascoste.

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La premessa è di forte impatto: Unn Tove (la svedese Tuva Novotny, vista di recente in The King’s Choice [+leggi anche:
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intervista: Erik Poppe
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e prossimamente in Borg vs. McEnroe) sta per sposarsi, ma ama un altro. Durante la festa del suo matrimonio, angosciata, va alla toilette e trova una neonata abbandonata per terra, insanguinata. La storia finirà sui giornali locali, con l’immagine di Unn Tove immortalata nel suo vestito da sposa macchiato di rosso, vicino all’ambulanza. Poi un grosso salto temporale, a 16 anni dopo. Unn Tove è separata, ha due figli e conduce una trasmissione tv sulle relazioni, l’amore, il sesso. Una misteriosa ragazza si presenta alla sua porta: è Rosemari (l’esordiente Ruby Dagnall), la piccola che aveva trovato in bagno anni prima. Unn Tove le propone di aiutarla a ritrovare sua madre e a ricostruire le circostanze della sua nascita, ma anche di confezionare con la sua storia una puntata per la sua trasmissione.

L’apparente cinismo di questa operazione è il primo elemento spiazzante del film, cui ne seguiranno altri, tra rivelazioni scomode e colpi di scena. Da quel momento, parte una sorta di road movie dove l’indagine personale si fonde con l’indagine giornalistica, ma anche dove, se necessario, la videocamera viene opportunamente spenta. Le testimonianze raccolte le vediamo alternativamente dal vero, attraverso la lente della videocamera imbracciata da Unn Tove o in fase di montaggio, e purtroppo questo espediente finisce per creare una distanza e per spegnere un po’ l’empatia dello spettatore. 

La giovane Rosemari, bellissima pur nel suo look trasandato e il suo aspetto androgino, riceve riguardo alle proprie origini una notizia sconvolgente dopo l’altra, forse più di quelle umanamente tollerabili da un’adolescente nell’arco di pochi giorni. Eppure il film non scivola mai nel dramma e mantiene un tono allegro, specialmente grazie ai dialoghi brillanti che vedono protagoniste la pudica Unn Tove e la più spudorata amica-collega (interpretata dalla norvegese Laila Goody), sugli uomini, il rapporto madre-figlia, Cinquanta sfumature di grigio

Un dibattito su amore e sesso che percorre tutto il film e che crea in qualche modo un parallelo tra il passato di Unn Tove e quello della madre di Rosemari, un passato pieno di conflitti, incertezze e contraddizioni, nella sfera dei sentimenti (nel cast, anche l’attore danese Tommy Kenter, nei panni di un ex pugile riciclatosi come produttore di film porno). Infine, l’esposizione mediatica della propria intimità: una scelta per certi versi incomprensibile, vista la delicatezza delle vicende ricostruite e la giovane età del personaggio principale, e che forse avrebbe meritato un maggiore approfondimento. 

Framing Mom è una produzione della società norvegese 4 1/2 Fiksjon in coproduzione con la danese Nimbus Film e la tedesca The Match Factory. Già uscito in Norvegia e Danimarca, il film sarà distribuito in Germania dal 20 aprile.

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