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CANNES 2017 Concorso

Doppio amore: il diavolo in corpo

di 

- CANNES 2017: François Ozon sperimenta un nuovo genere, con un virtuosismo formale da architetto e un sottotesto di pulsioni viscerali perturbanti

Doppio amore: il diavolo in corpo
Jérémie Renier e Marine Vacth in Doppio amore

Fin dalle prime sequenze di Doppio amore [+leggi anche:
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, in concorso al Festival di Cannes, con la scena di un taglio di capelli che gli permette di trasformare in giovane donna adulta Marine Vacth, la ragazza in fiore del suo Giovane e bella [+leggi anche:
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(già in concorso sulla Croisette), e di esporla d’un tratto, anima e corpo, al nostro sguardo, mostrandone la dolorosa intimità e gli occhi umidi spesso spalancati dal dubbio e dall’incomprensione, François Ozon imprime un certo tono al suo film, esteticamente superbo, che ricorda un capolavoro di architettura, con le sue linee dritte e le due fredde spirali, ma soprattutto con i suoi giochi di simmetrie imperfette e di rispecchiamenti, reali e figurati, come nel Musée de l’Homme di Parigi in cui Chloé lavora come guardiana di una mostra sulla “carne e il sangue”. Il tema del doppio è non a caso al cuore, per non dire allo stomaco, della storia raccontata in questo audace thriller erotico, adattamento per il grande schermo di un giallo scritto sotto pseudonimo da Joyce Carol Oates, e che era già stato portato al cinema da David Cronenberg nel 1988 con Inseparabili.

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Vediamo la protagonista, la venticinquenne Chloé, recarsi immancabilmente ogni mattina all’appuntamento nello studio dello psicanalista Paul (mirabilmente interpretato da Jérémie Renier, che ne incarna anche il gemello), dove la ragazza si mette a nudo, dopo che ogni altro specialista in medicina consultato ha rinunciato a comprendere il male angosciante che, da sempre, le strappa le viscere. Ben presto, la paziente e il misterioso terapeuta soccombono al richiamo dei sensi e vanno ad abitare insieme con il gatto di Chloé, che risveglia in Paul un’antipatia sospettosa e attira l’attenzione indiscreta e malsana di una vicina, lei stessa custode di una camera-mausoleo di gatti impagliati. Ma quando l’eroina crede di vedere Paul là dove non dovrebbe essere e comincia ossessivamente a recitare un doppio ruolo per penetrare il mistero, facendo quindi sdoppiare anche il suo compagno e intrecciando con il gemello perverso di lui (sempre il bravissimo Renier) ben altro tipo di psicanalisi, ecco allora emergere, sempre più fitte e inquietanti, le zone d’ombra del film. Ozon mantiene vivo il mistero attraverso superbe composizioni di riflessi e sfaccettature, e con una vertiginosa serie di sovrapposizioni di volti (compreso quello di Jacqueline Bisset, che per due volte appare nelle vesti di madre) e corpi, il tutto sullo sfondo di un cannibalismo prenatale.

Non si aggiungerà altro rispetto alla trama, se non per dire che è sostenuta da questa sua forma, magistrale nella sua corporeità agghiacciante e nella sua impeccabile geometria, che tuttavia non la nutre né giustifica, ed è forse per questo motivo che la tensione che si tenta di instaurare non riesce totalmente a penetrare nello spettatore, fino al finale, nel quale Ozon, all’improvviso ma in maniera ingannevole, rivela ogni cosa. Riproducendo alla perfezione – ma in modo troppo perfetto, per l’appunto – gli elementi del genere del thriller d’orrore basato sullo sdoppiamento dei personaggi (un genere con cui anche il presidente della giuria, Pedro Almodovar, sembra avere familiarità), Ozon traccia una sorta di rosone spirografico: una figura affascinante, le cui circonvoluzioni vertiginose e regolari catturano per un istante lo sguardo, quasi provocando un’illusione ottica, ma che tuttavia resta fine a se stessa.

Prodotto da Mandarin Production e coprodotto dalla società belga Scope Pictures, il film sarà distribuito in Francia da Mars e venduto su scala internazionale da Films Distribution.

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(Tradotto dal francese)

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