Pablo Berger • Regista di Il mio amico robot
“Se realizzi film che ti vengono dalla pancia e in cui credi, troverai un pubblico”
di Matthew Boas
- Il regista spagnolo ci parla di come si sente a ricevere quest’anno uno dei Mikeldi onorari di Zinebi e del suo lungometraggio d’animazione candidato all’Oscar

Destinatario di uno dei Mikeldi onorari di quest’anno a Zinebi è il bilbaino Pablo Berger (l’altra è la storica produttrice di Almodóvar Esther García). Ne abbiamo approfittato per parlare con lui del festival, del premio e del suo ultimo lungometraggio, Il mio amico robot [+leggi anche:
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intervista: Pablo Berger
scheda film], candidato all’Oscar e tratto dall’omonima graphic novel di Sara Varon.
Cineuropa: Aveva già qualche legame con Zinebi?
Pablo Berger: Ho un legame molto forte perché sono di Bilbao e, quando ho iniziato nel cinema, non c’erano scuole di cinema in Spagna, quindi la mia scuola di cinema è stata Zinebi. Ho anche presentato in anteprima il mio primo cortometraggio, Mama, in questo festival, e ha vinto un Mikeldi, quindi questo è un evento chiave nella mia vita e nella mia carriera, e tornare per ricevere il Mikeldi onorario è come un sogno.
Il festival ha sottolineato la sua “libertà creativa” e il suo “rigore artistico” nel consegnarle il suo premio onorario.
Posso sicuramente vantare una grande libertà creativa nel mio lavoro: quando ho realizzato Mama, che ho scritto e diretto, la consideravo la mia fase punk. L’ho fatto senza esserne consapevole, ma è entrato davvero in connessione con il pubblico e ha avuto un bel percorso nei festival. La lezione più grande che ho imparato con quel corto è che se fai film che vengono dalla pancia e in cui credi, troverai un pubblico. E ho seguito quel motto in tutte le mie opere successive.
Quanto al rigore artistico, mi piace la parola “artistico”; mi piace l’idea che tutti i miei film siano molto diversi ognuno a modo suo. Ognuno ha un aspetto molto distintivo, ma condividono un DNA simile. Mi piace l’idea che ogni film sia una sfida e un viaggio che mi porterà verso una destinazione sconosciuta.
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intervista: Pablo Berger
scheda film] del 2017 e Il mio amico robot del 2023 è passato parecchio tempo. È stato il suo unico focus in quel periodo?
È semplicemente il processo di realizzazione di un film d’animazione. Bisogna scriverlo, e ci vuole un anno; bisogna fare lo storyboard, che richiede poco più di un anno; bisogna finanziarlo; e poi bisogna effettivamente realizzarlo – e quando si parla di produzione in animazione, bisogna assumere artisti e animatori, e questo può richiedere un paio d’anni. Quindi sì, mi ci sono totalmente concentrato; tra i due film non ho fatto altro che tenere alcuni corsi di sceneggiatura e viaggiare.
Quanto è stato difficile tenere d'occhio tutte le animazioni realizzate contemporaneamente nei vari studi?
C’erano due studi, ed entrambi con sede in Spagna. Uno era a Madrid, dove c’era il team più numeroso, con il direttore dell’animazione, il direttore artistico e i capi animatori, e io ero lì giorno dopo giorno. Poi avevamo un altro studio a Pamplona, dove lavoravano anche molti animatori. Quindi c’erano degli spostamenti e delle videoconferenze, ma non c’erano studi fuori dalla Spagna e non c’erano artisti che lavorassero da remoto, il che ci ha permesso di controllare tutto abbastanza bene. Ovviamente ho avuto molto aiuto. Diciamo sempre che un film “appartiene” al regista, ma Il mio amico robot non è un film di Pablo Berger; è scritto e diretto da lui, ma appartiene a una grande squadra.
Ha un’esperienza personale di New York City negli anni Ottanta, periodo in cui è ambientato il film?
Ci sono andato molte volte negli anni Ottanta, ma quando ci ho davvero vissuto erano già gli anni Novanta. Sono arrivato nell’estate del 1990 per frequentare un master in cinema alla New York University. Poi sono rimasto fino alla fine degli anni Novanta. Mi sembrava più sexy ambientare il film a metà degli anni Ottanta che a metà dei Novanta. E quindi, avendo vissuto New York in entrambe le decadi, mi sono detto: “So com’era negli anni Ottanta”. Non era cambiata poi così tanto – non è come adesso, quando il mondo cambia così in fretta ogni anno.
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intervista: Pablo Berger
scheda film]. Quali problemi le pongono i film senza dialoghi?
Non direi che Il mio amico robot sia muto; c’è molto rumore, e probabilmente ha il sound design più complesso di qualsiasi altro mio film. Ma sì, è senza dialoghi. E sì, è stato scritto con le immagini. Ma questo elemento per me è un piacere. Ciò che rende il cinema un’arte unica è la macchina da presa, il montaggio e la possibilità di raccontare con le immagini. Quindi, per me, non è uno svantaggio né un problema. C'è sicuramente una certa peculiarità nella tecnica: se c'è una caratteristica principale, è che se non ci sono dialoghi, devi girare da molte angolazioni diverse.
(Tradotto dall'inglese)
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