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“I documentari riescono sempre più a raccontare temi complessi con empatia”

Rapporto industria: Documentario

Massimo Benvegnù e Chiara Liberti • Direttori artistici, Biografilm

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I neo-direttori artistici del festival bolognese ci offrono il loro sguardo sul mercato del cinema documentario e le sue priorità produttive

Massimo Benvegnù e Chiara Liberti  • Direttori artistici, Biografilm

“Essere e avere” è il tema di Biografilm, che si svolgerà a Bologna dal 9 al 19 giugno con la nuova direzione artistica di Massimo Benvegnù e Chiara Liberti. Apre il festival Sur l’Adamant [+leggi anche:
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di Ami-Ro Sköld e The Happy Worker - or How Work Was Sabotaged di John Webster. Abbiamo incontrato i neo-direttori per parlare del settore del documentario.

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Cineuropa: Il documentario trova sempre più spazio nello scenario audiovisivo in Europa. Cosa sta succedendo?
Chiara Liberti: Sicuramente il panorama è esploso negli ultimi 10-15 anni in una pluralità di piattaforme, ricerca, talenti, fruizione e maggiore sensibilità al documentario. Il raccordo è la curatela, cioè il modo in cui si veicolano questi contenuti favore del pubblico.

Massimo Benvegnù: Io penso che il documentario abbia raggiunto un livello che prima si trovava solo di alcuni Paesi nordici, dove poteva anche avere una vita nelle sale e nei festival mainstream, non solo quelli di nicchia. Questo si è esteso ad altri Paesi europei, anche all’Italia, dove la cultura del documentario era rimasta un po’ indietro. Questo forse è il motivo per cui anche in Italia è aumentato il numero delle case di produzione, il numero di coproduzioni tra Paesi europei, i fondi dedicati al documentario. E questo ha creato un proliferare di prodotti che spesso hanno una vita ben più ampia rispetto al passato, con diversi passaggi ai festival, premi, riconoscimenti internazionali, infine con l’uscita in sala.

L’espansione delle piattaforme ha aumentato le chance di visibilità. Non ci sono molti dati, voi cosa percepite della risposta del pubblico?
M.B.: I numeri delle piattaforme non li conosciamo ma ci sono. C’è un pubblico che guarda i documentari. Se lo paragoniamo al pubblico di ieri, capiamo che le piattaforme hanno permesso a quei numeri di aumentare esponenzialmente. Anche se il guadagno è esiguo - non ci aspettiamo che 220 milioni di users guardino Flee [+leggi anche:
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- anche una frazione di quel numero permette che ci sia consapevolezza di quel genere e la sua circuitazione.

C.L.: Avendo lavorato per anni al Biografilm, posso dire che il festival mi ha regalato questa prospettiva sul genere documentario fruito da un pubblico trasversale e la possibilità di osservare la sua crescita: da qualcosa di estremamente specifico è entrato nell’ottica delle storie di vita individuali che diventano storie universali, grazie anche all’aumentare dei talenti, delle produzioni e delle collaborazioni internazionali. Riescono sempre più a raccogliere e raccontare temi complessi, l’attualità, e restituire una profondità empatica e insieme informativa.

Vivete rispettivamente a Copenhagen e Amsterdam. In base alla vostra esperienza, quali Paesi funzionano meglio dal punto di vista del sostegno pubblico al documentario e quale tipo di aiuto è più efficace per questo segmento di mercato?
M.B.: I Paesi che hanno segnato la strada sono quelli nordici e il Benelux, conosciamo molto bene quei mercati. Il sostegno principale sono i fondi di sviluppo per i soggetti, per le idee e la ricerca perché i documentaristi spesso partono con un progetto di base su una loro idea alla quale magari hanno dedicato degli anni. Il primo passaggio è quello dello sviluppo della sceneggiatura. I development fund sono secondo me più essenziali di quelli dedicati alla produzione. In Italia, in Ungheria, in molti Paesi dell’Est sarebbe importante che si estendesse il concetto di coproduzione di minoranza, cioè che anche i produttori italiani possano confrontarsi su progetti internazionali non generandoli in prima persona ma portando il “completion fund”. È una caratteristica del Benelux e vedi ad esempio una coproduzione dell’Olanda con il 10% del Belgio, che magari contribuisce artisticamente con il sound design. Si crea un circolo virtuoso: quest’anno io sono coproduttore minoritario per te ma l’anno prossimo tu lo sarai per me. Nasce uno scambio di buone pratiche, trovarsi e lavorare assieme.

Quali sono i registi che osservate con più interesse?
M.B.: Il mio sogno è avere il prossimo film di Victor Kossakovsky. Che è il sogno di ogni festival.  Riguardo ai giovani autori, ad esempio in Olanda c’è Laura Hermanides, che fa ottime ricerche e penso che stia crescendo. Tra gli italiani il sogno di tutti è Gianfranco Rosi ma per esempio Biografilm qualche anno fa ha scoperto Brunella Filì, il cui prossimo film è Sea Sisters, coproduzione tra Italia e Norvegia.

C.L.: Brunella è un ottimo esempio: una donna che dalla Puglia va a girare un documentario in Norvegia. Ho in mente tante coproduzioni trasversali che incarnano quello spirito europeo di storie e professionalità che si incontrano.   L’importante è cercare nuovi talenti.

Parole chiave dell’edizione 2023 di Biografilm?
M.B.: Comunità… Passione…

C.L.: Umiltà, coraggio, impegno…

M.B.: Biografilm ha vissuto stagioni di grande crescita, stagioni di crisi, ora mi sembra ben incanalato su concetto di “glocal”. Lavoriamo su alcune idee per attirare delle fasce di pubblico un po’ trascurate che vorremmo fa tornare in sala.

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