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Come adattare le politiche fiscali di beni e servizi culturali e audiovisivi all'era del digitale?

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- La rivoluzione digitale ha portato nuove sfide per l'industria della cultura e dell’audiovisivo, ma il quadro legislativo e fiscale europeo non tiene il passo

Come adattare le politiche fiscali di beni e servizi culturali e audiovisivi all'era del digitale?

Le politiche fiscali europee applicate ai beni e ai servizi culturali e audiovisivi all’era del digitale sono state discusse dalle Coalizioni Europee per la Diversità Culturali durante una conferenza al Parlamento Europeo l’11 febbraio 2014.

E’ ormai noto che la rivoluzione digitale ha portato molte nuove sfide per l’industria della cultura e dell’audiovisivo, ma il quadro legislativo e fiscale europeo non tiene il passo con questi cambiamenti.

Si calcola che oggi solo in Europa un trilione di euro sono persi ogni anno a causa di frode e evasione fiscale. Questo fenomeno genera enormi perdite per i sistemi sociali statali, e provoca di conseguenza un calo di fondi disponibili, per esempio, per le politiche culturali. Tassazione e cultura sono in effetti più legate di quanto uno pensi.

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Le politiche fiscali Europee sono vaghe e non definite da un quadro comune, cosa che porta gli Stati membri ad avere pratiche ingiuste ed essere in competizione fiscale tra di loro. E’ il caso dell’Irlanda, per esempio, dove per ragioni storiche l'imposta sul reddito delle società è al 12,5%. E’ vero che questo regime fiscale basso ha spinto giganti come Google ad installarsi in Irlanda, ma è anche vero che le stesse norme fiscali hanno creato delle scappatoie che hanno facilitato lo scoppio della crisi. “Un regime d’imposizione fiscale basso non è interessante per nessun paese perché non è un investimento a lungo termine” ha ricordato il MPE Pervenche Berès. Inoltre, chi trae il maggior vantaggio da questo tipo di regime fiscale sono i giganti del digitale (come Google, Amazon, iTunes), che non essendo Europee non contribuiscono nemmeno ai nostri sistemi sociali.

Ci troviamo in una situazione paradossale: stiamo costruendo un’economia che non ci fornisce ciò di cui abbiamo bisogno per finanziarie le nostre società e i nostri creatori. “Abbiamo creato un mercato unico di consumatori di prodotti venduti dai giganti digitali, i quali sono in una situazione di oligopolio, quando non addirittura di monopolio, e non sono europei”, sottolinea Jacques Toubon, delegato francese per la tassazione di beni e servizi culturali. “L’idea di base era quella di creare un mercato unico che permettesse di evitare la tassazione doppia, la triste verità è che abbiamo ora una doppia mancanza di tassazione”, aggiunge Walter Zampieri, a capo dell’unità cultura e politica della DG EAC della Commissione Europea. Questo porta a una situazione di profondo squilibrio, nella quale piccole e medie industrie (PMI) sono soggette a una tassazione molto più alta di quella prevista per i giganti digitali; le PMI non possono competere e sono quindi destinate a scomparire. E’ una situazione inaccettabile e insostenibile a lungo termine. I paesi europei devono reagire insieme e fermamente per chiarire una volta per tutte che non si può eludere la giustizia fiscale solo perché si commerciano beni immateriali.

Inoltre, come è stato ricordato dalle Coalizioni Europee per la Diversità Culturale, l’Unione Europea ha firmato la convenzione per la diversità culturale dell’UNESCO, e la convenzione dovrebbe essere rispettato anche per quanto riguarda le tasse.

Una buona soluzione potrebbe essere un’armonizzazione fiscale progressiva al livello europeo, ma è difficile decidere, soprattutto per quanto riguarda i beni immateriali, chi debba percepire la tassa: il paese d’origine o il paese di consumo? La Commissione Europea ha proposto che l’IVA sia percepita dal paese di consumo, anche se nessun atto vincolante sarà adottato dall’attuale legislatura per mancanza di tempo. La decisione dovrebbe essere votata, all’unanimità e implementata a partire dal 1 gennaio 2015. Al Lussemburgo saranno concessi 4 anni di adattamento.

“Non bisogna dimenticare che non sono solo i giganti digitali a evitare le imposte fiscali” ricorda Lorena Boix-Alonso, capo dell’unità media e contenuti della DG Connect della Commissione Europea.

E’ anche vero che il digitale rappresenta un incredibile strumento di promozione per la produzione culturale europea e che, secondo l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo, iTunes è tuttora il provider VOD con più titoli europei.

Ovviamente l’IVA non è l’unico problema. In moltissimi Stati membri lo stesso prodotto culturale non è tassato allo stesso modo se venduto su un supporto fisico o no. Il Regno Unito è un esempio lampante: i formati standard sono tassati allo 0%, mentre quelli digitali al 20%. “Adottare questo tipo di politica  equivale a mettere un’ipoteca sul futuro”, afferma Richard Charkin, direttore esecutivo di Bloomsbury Publishing. “Non c’è nessun motivo per cui i beni culturali e audiovisivi venduti su apparecchi elettronici non debbano beneficiare di un’aliquota fiscale più bassa” secondo Pascal Rogard, presedente della Coalizione Francese per la Diversità Culturale. Che ha poi aggiunto che dovrebbe essere fatto “in nome della neutralità tecnologica”.

 

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