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MIA 2025

Rapporto industria: Tendenze dei festival cinematografici

Il MIA esplora il futuro della distribuzione indipendente e il ruolo di festival, piattaforme e social media

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Il mercato di Roma ha ospitato un panel incentrato sulle nuove strategie di distribuzione di film indipendenti in un mercato sempre più competitivo

Il MIA esplora il futuro della distribuzione indipendente e il ruolo di festival, piattaforme e social media
Un momento del panel

Il ruolo imprescindibile della sala come “tempio” dell’esperienza cinematografica, da integrare senza demonizzare piattaforme e social media; la necessità di una forte attività di curatela, community building e creatività nelle strategie di lancio e acquisizione; l’importanza dei festival e dei sistemi di supporto pubblico per valorizzare registi esordienti e titoli di qualità. Sono i punti più importanti emersi durante il panel intitolato “The Independent Film Distribution Arena: Embracing Change”, tenutosi giovedì 9 ottobre nell’ambito del MIA | Mercato Internazionale dell’Audiovisivo di Roma. Moderati dal giornalista di Cineuropa Davide Abbatescianni, sono intervenuti sul tema Benedetta Caponi, direttrice commerciale di I Wonder Pictures (Italia); Richard Lorber, presidente di Kino Lorber Media Group (Stati Uniti); Ola Byszuk, responsabile vendite e co-fondatrice di Lucky Number (Francia); e Mira Staleva, direttrice generale e programmatrice del Festival di Sofia e responsabile dei Sofia Meetings (Bulgaria).

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In un settore in continua evoluzione e alle prese con le sfide del mercato post-pandemia (calo degli spettatori, polarizzazione dell’offerta, frammentazione del pubblico), le piattaforme rappresentano una minaccia? “In Italia, i 100 milioni di spettatori non ci sono più stati. Siamo sotto i 70 milioni l’anno, ma le piattaforme hanno comunque consentito di non perdere il contatto con le opere filmiche”, ha esordito Benedetta Capponi. “Credo che il rapporto con quelli che vengono definiti i ricavi ulteriori, quindi dopo lo sfruttamento theatrical, sia estremamente importante nella visione industriale complessiva della distribuzione e quindi si debba lavorare in maniera armonica sui tempi della filiera”.

“Che senso ha rimanere in questo business?”, è la domanda che si fa Richard Lorber ogni giorno. “La risposta è che dobbiamo essere curatori e dobbiamo individuare i film migliori, di qualità, intelligenti, per raggiungere il pubblico che cerca qualcosa di diverso. Non i grandi film commerciali, ma quelli che nutrono davvero la mente e lo spirito”. Film che la sua società non lancia su 3.000 schermi, bensì su 2-300 in tutti gli Stati Uniti: “Ogni titolo che distribuiamo deve essere adattato a particolari realtà di mercato e a particolari interessi di segmenti di pubblico”.

Aggiunge Ola Byszuk: “Dal punto di vista delle vendite, le conseguenze del fatto che le persone vadano meno al cinema, e che siano sempre più abituate a guardare comodamente a casa contenuti formattati, sono sotto gli occhi di tutti. Ma questo ci rende più attenti perché siamo sempre più alla ricerca di progetti originali, e penso che anche i registi e i produttori ne siano consapevoli. È un'opportunità”.

“Credo che le sale cinematografiche siano il tempio del cinema come arte, quindi sta a noi creare questa esigenza e spiegare adeguatamente al pubblico che non esiste esperienza paragonabile a quella cinematografica”, afferma Mira Staleva. “Stiamo lavorando per creare un'altra esperienza e un'altra connessione, non solo con le arti del cinema, ma anche con le persone che ci circondano. Credo fermamente nella creazione di community, la principale forza del cinema è riuscire a coinvolgere emotivamente le persone”.

La conversazione si è poi spostata sui social media. “Non è immaginabile oggi agire per la promozione dei film senza passare attraverso i social media”, osserva Caponi. “In realtà, non riesco oggi a calcolare quanto la partecipazione massiccia social si traduca effettivamente in numero di spettatori che si portano in sala. È la viralità che fa la differenza. Nel mio caso, ho avuto l'esperienza di The Substance [+leggi anche:
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, che ad un certo momento sono diventati “i film da vedere”. E con un percorso molto preciso di posizionamento, attraverso anche i social, hanno poi prodotto un numero di spettatori molto importante”.

“I social media frammentano il pubblico, ma avendo i giornali generalmente licenziato tutti i loro recensori”, ricorda Lorber, “molti dei migliori talenti, delle menti critiche del cinema, si sono rifugiati sui social. Bisogna trovarli. Bisogna lavorare a stretto contatto con loro, oppure trovare una piattaforma che inglobi gli interessi di una comunità come ha fatto Letterboxd. Collaboriamo a stretto contatto con loro, e anche con importanti festival cinematografici che hanno una piattaforma e una voce molto più convincenti di un social media”.

“Stiamo cercando tutti di capire la reale influenza dei social sui numeri di spettatori nelle sale cinematografiche”, conferma Staleva. “Per me i social media sono una grande comunità, offrono la possibilità di raggiungere molte più persone di quanto si possa fare con altri strumenti fisici. Ma il futuro del cinema sono i curatori. Per questo metto un confine tra il marketing tradizionale e la curatela, che è diversa, è l'approccio all'arte: mi piace questo film e vi consiglio di vederlo. Ed è esattamente quello che fanno i festival”.

Tra i casi di successo evocati, quello di La voce di Hind Rajab [+leggi anche:
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, distribuito in sala da I Wonder Pictures subito dopo Venezia: “È un film che ha sovvertito tutte le regole convenzionali del sistema di distribuzione dei film”, ha spiegato Caponi. “Nel momento in cui è arrivato a Venezia ha scatenato un sentire che non era marketing, è partito dalla base, dalla stampa. Quindi abbiamo deciso di anticipare l'uscita, valutando anche se il mercato fosse in grado di assorbirlo. Uscire senza un poster e con un film non doppiato – in una lingua peraltro non familiare, l’arabo – era una bella sfida. All’inizio ci siamo rivolti ai cinema d’essai, ma nell’arco di 15 giorni ha avuto una capillarità enorme. Le 424 sale iniziali sono diventate 446 la settimana successiva: un percorso cinematografico fuori standard, che dimostra come con determinate premesse si possano sovvertire le regole classiche”.

Il panel si è concluso ricordando il ruolo dei festival nel lanciare nuovi talenti (“Si producono così tanti film che se non ci fossero i festival ad accendere i riflettori, nessuno noterebbe certi nuovi registi”, osserva Staleva), l’importanza dei finanziamenti pubblici alla distribuzione e sottolineando quanto sia prezioso il sostegno delle star a progetti difficili, come nel caso di Joaquin Phoenix produttore esecutivo di La voce di Hind Rajab.

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