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Yves Lavandier • Sceneggiatore

“L’unica possibilità che abbiamo di far circolare un film è scriverlo bene”

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Yves Lavandier ha studiato cinema alla Columbia University di New York tra il 1983 e il 1985. Miloš Forman, František Daniel, Stefan Sharf, Brad Dourif, Larry Engel, Melina Jelinek sono stati alcuni dei suoi insegnanti. Nel corso dei due anni, ha scritto e diretto vari corti. Tornato in Francia nel 1985, ha girato ancora dei corti prima di dare avvio a una carriera da sceneggiatore, sopratutto per la televisione. Oltre a questo, ha cominciato a insegnare sceneggiatura in tutta Europa, e pubblicato un trattato sul tema, “L'ABC della drammaturgia”, considerato oggi la bibbia degli sceneggiatori e drammaturghi europei. Tra agosto e settembre 2000, ha girato il suo primo lungometraggio da scrittore/regista, Yes, But....

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Cineuropa: Esiste una tradizione europea nella narrazione cinematografica che ci consenta di parlare di “cinema europeo”?
Yves Lavandier: Da un punto di vista pratico le difficoltà sono enormi: molte lingue e l’assenza di accordi precisi sulla distribuzione impediscono a molti titoli europei di circolare anche fra paesi confinanti. Quello che viene chiamato “narrazione cinematografica” include molti linguaggi, e fra questi i principali sono la narrazione drammatica ed il linguaggio cinematografico. Credo davvero che non ci siano migliaia di modi per posizionare una macchina da presa e montare una serie di riprese. Quello che varia non sono gli strumenti ma il tema, e allora abbiamo un’infinità di combinazioni, e quindi un’infinità di storie. La tradizione narrativa arriva solo in parte dall’Europa. Il linguaggio cinematografico si è sviluppato soprattutto in Francia, Stati Uniti, Russia e Germania. E in ogni caso, sono questi i linguaggi universali di oggi. Si spiega così la ragione per cui le serie britanniche e americane sono tanto famose in tutto il mondo. Meglio sono scritte, più hanno successo.

Il cinema americano ha una forte tradizione di buona scrittura, e anche un secondo potente fattore di attrazione: la spettacolarità. Quando nell’immagini metti grande azione, ambientazioni originali ed effetti speciali costosi, puoi conquistare la gente senza il bisogno di una buona storia. Ma in Europa tutti questi soldi mancano, e l’unica opportunità che abbiamo di far circolare i nostri film è di scriverli bene. E funziona: Good Bye Lenin!, Festen, Le vite degli altri [+leggi anche:
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. Il segreto è una storia specifica, radicata in un contesto ed una lingua specifici, narrata con strumenti universali. Non ti garantisce l’enorme successo in tutto il mondo, perché il successo è un’alchimia misteriosa. Quello che rende di successo un’idea, una religione o un’opera, non è quanto sia opportuna o perfetta, ma, credo, quanto funzioni come collante sociale in un determinato momento. Usare in modo corretto lo strumento della sceneggiatura garantisce che si possa esprimere il proprio punto di vista, che possa viaggiare ed essere ricevuto ovunque e possa sopravvivere nel tempo.

Cosa pensa delle scuole di cinema, e in generale come viene insegnata la sceneggiatura in Europa? Le istituzioni culturali dovrebbero investire di più nello sviluppo della sceneggiatura?
Sì, dovrebbero farlo. La sceneggiatura è la nostra sola opportunità di riprenderci lo scettro della narrazione dagli americani, e controllare le storie attraverso le quali ci confrontiamo e interpretiamo la nostra realtà, invece di usare quelle americane. Ma quando lo capiranno i politici? Riusciranno a capire l’ovvio, che la fiction è una straordinaria agenda culturale? Ma dovrebbero essere formati correttamente non solo gli scrittori, ma anche chi la insegna, e i selezionatori. In Europa, abbiamo molti consigli e commissioni che selezionano progetti o finanziano sceneggiatori ma, purtroppo, i membri valutano gli script in base a sensazioni personali. Se sei un produttore e stai per passare due anni della tua vita in un progetto, sensazioni personali e soggettività vanno benissimo. Ma se passi tre ore su uno script e ne hai il diritto di vita o di morte, allora i metodi devono essere più oggettivi delle sensazioni personali. O almeno si dovrebbe avere l’onestà di non sedere in un consiglio.

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