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Renato De Maria • Regista

"Una coppia che guarda il mondo attraverso l'ideologia"

di 

- A pochi giorni dall'uscita nelle sale de La prima linea, incontro a Roma con il suo regista accompagnato dallo sceneggiatore Sandro Petraglia

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intervista: Renato De Maria
scheda film
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affronta?

Renato De Maria: Il lavoro di documentazione è stato vasto, a partire dallo studio della pubblicistica sul terrorismo, compresi i libri scritti da quei magistrati che hanno seguito le inchieste. Poi naturalmente abbiamo visto La notte della Repubblica, un ciclo di documentari firmati per la tv da Sergio Zavoli, e naturalmente – dal momento che lo spunto per il film è stato il romanzo Miccia corta di Sergio Segio – c’è stato un lungo incontro con lo stesso Segio e con Susanna Ronconi, l'altra "protagonista".

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Cosa via ha spinto a raccontare questa storia?
R.D.M.: I motivi sono molti: tanto per cominciare, il cinema italiano non si è occupato quasi mai di questi argomenti, al più si è concentrato sulle Brigate Rosse, e in particolare sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. E poi, uno degli aspetti che mi hanno colpito di più è l’età dei protagonisti: Segio aveva 25 anni al momento dell’assalto al carcere di Rovigo, commette gli omicidi che raccontiamo tra i 21 e i 22 anni. Tutto ciò non è un motivo di pietas, ma di certo acuisce la volontà di capire. Com’è potuto succedere? La spiegazione, almeno quella che mi do io, è che vivevano separati dal mondo. La clandestinità li estraniava dal mondo reale, dalla vita di tutti i giorni, in un avvitamento di azioni violente che li ha condotti all’omicidio.

Sandro Petraglia, sceneggiatore del film: Abbiamo voluto fare un film semplice, su una coppia d’innamorati che avrebbe potuto avere una vita normale, e invece scelse di guardare la realtà attraverso l’ideologia. Così come le vittime, che ai loro occhi non erano esseri umani, l'unica cosa che importava era la loro funzione: si uccideva il giudice, non il padre di famiglia.

Come ha raccontato questa alienazione da un punto di vista stilistico?
R.D.M.: Volevo che i protagonisti vedessero un mondo sempre “mediato”, a volte dal finestrino di un’automobile, altre dalle pareti delle abitazioni dove vivono in clandestinità: una sorta di distacco dal quotidiano che li tiene lontani dal contatto con la vita vera. Questa mia interpretazione è piaciuta ai fratelli Dardenne.

L’obiettivo, dunque, era fare un film semplice: per questo il contesto sociopolitico resta sullo sfondo?
S.P.: Abbiamo pensato di fare riferimento al contesto politico all’inizio del film, quando attraverso il materiale di repertorio raccontiamo la stagione dello stragismo italiano. La Storia del nostro Paese è complessa, per approfondirla bisognerebbe scrivere un saggio, e non è il nostro mestiere: oltretutto sono proprio i terroristi, spesso, i più interessati a far leva sul contesto in cui agirono, perché in qualche modo si sentono giustificati dagli scenari di allora.

Il film è “liberamente ispirato” al libro di Segio. In cosa se ne discosta?
S.P.: Siamo partiti da un libro che non diceva praticamente nulla del privato, e abbiamo inventato molto, come sempre nel cinema. In particolare, la modifica più grande è stata l’introduzione del personaggio di Piero...

...Un compagno che condivide gli ideali rivoluzionari, ma sceglie di non imbracciare le armi. Qualcuno dice che l’abbiate introdotto per assecondare le associazioni dei familiari delle vittime. E oggi, anche Segio dichiara di essere tutt’altro che soddisfatto del risultato…
S.P.: Su questo punto c’è molta confusione: nessuna associazione ha mai letto la sceneggiatura, non l’avrei mai accettato. Quanto a Segio, che sin dall’inizio non doveva avere alcuna parte nella stesura dello script, il nostro rapporto con lui è stato molto chiaro: gli abbiamo fatto leggere il trattamento, poi le varie versioni… In molti casi la sua conoscenza dei fatti si basa sulla lettura dei giornali, ci spiace che non abbia chiesto direttamente a noi.

R.D.M.: A Segio forse non è piaciuto il tono crepuscolare del film, l’idea che si partisse dalla fine per raccontare su piani temporali diversi le vicende di Prima Linea. Magari avrebbe preferito che cominciassimo dall’inizio, ma questa costruzione “a ritroso”, molto cinematografica, era ciò che mi ha subito affascinato del suo libro.

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