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Mia Hansen-Løve • Regista

“Il cinema: un confronto continuo con il mondo reale”

di 

- Incontro a Parigi con la regista ventottenne che evoca la genesi del suo secondo lungometraggio Il padre dei miei figli

Cineuropa: Il suo personaggio principale fugge la vita attraverso il suicidio così come nel suo primo lungometraggio lo faceva attraverso la droga. Perché ha voluto approfondire questo tema?
Mia Hansen-Løve: Apparentemente, i due film sono molto lontani fra loro per il contesto e per il mestiere del personaggio principale: in Il padre dei miei figli [+leggi anche:
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è un produttore, quindi ultra connesso, mentre il protagonista di Tout est pardonné [+leggi anche:
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rifiutava il lavoro. Ma sono accomunati dal tema della fuga, dalla malinconia disperata che alla fine emerge anche in Il padre dei miei figli, anche se è più segreta, nascosta dietro a una radiosità apparente. E' come se il primo film fosse la scena e il secondo le quinte. Perché Le père des mes enfants parla di cinema, del rapporto tra la vita e il cinema, tra finzione e realtà.

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Quanto si è ispirata al produttore Humbert Balsan?
Molti artisti si ispirano a gente nota per creare personaggi. In questo caso, colpisce di più e deforma la percezione che si può avere del personaggio, perché è una persona che stava nel mondo del cinema e che molti hanno conosciuto. Ho cercato soprattutto di essere il più giusta possibile rispetto allo spirito della società di produzione e alla personalità del protagonista del film. Da un'altra parte, ci sono tante cose fittizie riguardo a Humbert Balsan: lo conoscevo da un anno, ma non l'ho visto più di una decina di volte. Non è un omaggio, anche se Humbert Balsan ha contato molto per me e la sua scomparsa è stata orribile.

Voleva fare il ritratto di un uomo o, più in generale, quello di una famiglia?
Entrambi; la seconda parte del film sul rapporto con il lutto è un aspetto importante, ma ciò che conta è soprattutto l'idea di passare da un personaggio all'altro, la trasmissione, in che modo il protagonista, pur essendo assente, continua a essere presente attraverso gli altri. Il personaggio di Grégoire Canvel è più presente attraverso la sua opera, il suo catalogo di film o attraverso la sua famiglia? In cosa la sua anima gli sopravvive? C'è questa dualità nel film e si passa incessantemente dalla società di produzione alla famiglia. Vediamo come la prima muore, ma anche come i film continuano a vivere e i registi a fare film, e vediamo come la famiglia sopravvive, continua ad andare avanti.

Aveva intenzione di fare un film sulla produzione cinematografica indipendente?
Più procedevano le riprese, più trovavo il soggetto appassionante dal punto di vista drammaturgico. Quando ho scritto il film, ciò che mi interessava era la personalità di Humbert Balsan, il suo impegno, il suo amore per l'arte e il mistero della sua scomparsa. Ero reticente a fare un film sul cinema. Poi mi sono detta che il soggetto era stato trattato molte volte, ma spesso come se si trattasse di un fantasma, di un archetipo, cosa che non corrispondeva alla mia esperienza di cinema. Ma non è una denuncia delle difficoltà del montaggio finanziario dei film. E' difficile trovare finanziamenti quando si fanno film personali o radicali, ma fa parte dell'ordine delle cose. La Francia è il paese dal sistema più sofisticato e vantaggioso per i registi, anche se ovviamente non è perfetto. Il mio film mostra l'importanza del denaro nel cinema e in che modo. Può portare all'alienazione, ma questo è il cinema: un confronto continuo con il mondo reale. E il caso di Grégoire Canvel ispirato a Humbert Balsan è un caso specifico, legato alla sua personalità, alla sua nobiltà, al suo carattere eccezionale: non è lo stesso per tutti i produttori indipendenti.

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