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Asli Özge • Regista

Un microcosmo turco

di 

- La giovane regista Asli Ozge è stata lodata da pezzi grossi del cinema turco come Nuri Bilge Ceylan e Fatih Akin per il suo primo lungometraggio, Men on the Bridge

Cineuropa: In Men on the Bridge [+leggi anche:
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, ha detto che voleva mettere a confronto realtà e finzione. Quali sono state le sue influenze?

Asli Ozge: Ho letto di recente un'intervista al designer olandese Marcel Wanders in cui diceva che non vuole creare un prodotto identificato come un Marcel Wanders, ma un oggetto che abbia un propria identità. Credo, come lui, che non bisogna essere schiavi di uno stile in particolare; preferisco lasciare che sia il film a determinare il proprio stile secondo il suo soggetto e le condizioni della sua realizzazione.

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Ho cominciato Men on the Bridge come un documentario, quindi cercavo la realtà. Ho poi deciso di farne un film di finzione perché non siamo stati autorizzati a filmare un vero agente di polizia, perciò ho dovuto trovare un attore per quel ruolo. Inoltre, controllavo e ripetevo le scene talmente tante volte che veniva meno la spontaneità. E poi, quello che succedeva nella realtà non mi interessava. Volevo raccontare ciò che di particolare c'era in queste storie. Così, alla fine mi sono messa a scrivere una sceneggiatura ispirata alla vita dei miei personaggi principali. Poi ho chiesto loro di recitare nel film. Ho anche usato le vere location della storia.

Quanto spazio ha lasciato all'improvvisazione? Avete fatto delle prove?
A volte ripetevo le scene, soprattutto con il poliziotto. Murat non è stato ammesso all'Accademia di polizia, allora ho pensato che impersonare un agente lo avrebbe motivato. Per le scene del ponte sul Bosforo, abbiamo fatto molte inquadrature affinché la durata e il tono fossero perfetti. Detto questo, la maggior parte del tempo gli attori ripetevano il testo dopo di me, soprattutto nei momenti importanti della trama. Amo lasciare le cose al caso. La prima ripresa è sempre improvvisata, poi do indicazioni agli attori e infine dico loro tutto il testo.

Come ha scelto i suoi interpreti?
Viaggio spesso dalla costa europea di Istanbul alla sua parte orientale, dall'altra parte del ponte sul Bosforo, che è sempre imbottigliato. Un giorno, mentre mi trovavo in un taxi collettivo bloccato nel traffico, mi sono messa a scattare foto di venditori ambulanti che approfittavano della noia degli automobilisti ammassati sul ponte. Più tardi, ho deciso di seguirli fino a casa loro. Ho parlato con tutti nel quartiere e ho ascoltato molte storie. Stare in attesa sul ponte tra Asia ed Europa è come vivere una metafora dell'attesa della Turchia rispetto all'Ue.

Questa incertezza sul futuro della Turchia riguarda principalmente la nuova generazione. Da quello che ho visto, i poliziotti, i tassisti e i venditori ambulanti sono le sole persone che lavorano davvero sul ponte. Per i loro diversi status sociali, rappresentano una sorta di microcosmo della Turchia. Quando ho cominciato a cercare interpreti che rispondessero al concept del film, mi ci volevano persone giovani ma di età differenti e alla ricerca di cose diverse. Per fare le mie ricerche, ho trascorso sei mesi nei dintorni del ponte a parlare alla gente e ad ascoltare le loro storie cercandovi delle coincidenze.

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del suo connazionale Pelin Esmer ha un soggetto simile e mostra anch'esso un individuo che interpreta se stesso. Si può parlare di una "nouvelle vague" del cinema turco?

Non eravamo a conoscenza dei nostri rispettivi progetti quando abbiamo realizzato i nostri film, e gli esempi simili sono innumerevoli. Credo che sia troppo presto per chiamarla "nouvelle vague". Bisogna aspettare ancora e vedere i prossimi film di questi registi. Detto questo, il cinema turco è stato a lungo influenzato dal teatro e penso che i giovani registi si siano stancati di questo genere di melodrammi e di queste interpretazioni teatrali. Forse la tendenza attuale è una sorta di neorealismo tardivo che vuole raccontare la gente vera, l'uomo della strada. I registi turchi si sono resi finalmente conto che si può raccontare una storia anche in modo cinematografico.

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