Valeria Golino • Regista
“Ogni essere umano deve poter decidere della propria vita”
- Esordio coraggioso e riuscito per Valeria Golino con il suo Miele, selezionato al Certain Regard del 66mo Festival di Cannes
Esordio coraggioso e riuscito per Valeria Golino con il suo Miele [+leggi anche:
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intervista: Valeria Golino
intervista: Valeria Golino
scheda film], selezionato al Certain Regard del 66mo Festival di Cannes. Nel suo primo film da regista, l'attrice tratta il tema del suicidio assistito attraverso la storia di Irene (Jasmine Trinca), una giovane donna che aiuta i malati terminali a porre fine alle loro sofferenze. Ne ha parlato con la stampa alla presentazione del film a Roma.
Cineuropa: Che cosa l'ha spinta a scegliere questa storia per il suo primo film da regista?
Valeria Golino: Ho letto il libro “A nome tuo” di Mauro Covacich tre anni fa. L'ho trovato un libro fulminante, molto contemporaneo, doloroso e provocatorio, con un personaggio femminile inedito nel panorama della letteratura e del cinema in Italia. Ne ho parlato con Viola Prestieri e Riccardo Scamarcio (che hanno prodotto il film per Buena Onda, ndr) e ho chiesto di acquistarne i diritti. Inizialmente avevamo paura, non eravamo sicuri di affidare a me una storia così difficile come primo film.
Che cosa temeva?
Temevo, per inesperienza, di non riuscire a raccontare in modo appropriato il tema del suicidio assistito, che è diverso dall'eutanasia. Non ho mai pensato che l'argomento fosse troppo ostico in sé, anzi, è proprio questa contraddizione tra vita e morte, luce e buio, che mi ha spinto a fare questo film. Temevo piuttosto che non ce lo facessero fare.
Lei è un'attrice affermata. Il produttore del film, Riccardo Scamarcio, lo è altrettanto. Eppure non comparite davanti alla macchina da presa. Come avete superato la tentazione, così comune, di essere anche interpreti del proprio film?
Volevo che il personaggio femminile non avesse più di trent'anni, quindi più giovane di me. Una donna più matura avrebbe avuto un bagaglio diverso. Poi non volevo fare il mio primo film con me stessa, ero più curiosa di filmare qualcun altro. Non escludo che in futuro possa succedere. Quanto a Riccardo, avrebbe potuto interpretare uno dei due ruoli maschili, ma semplicemente non ci è sembrato il caso.
Qual è la posizione del film in merito al suicidio assistito?
Il mio film non vuole essere né provocatorio né contro, non ha una posizione definitiva, cerca di porsi delle domande. E' un argomento tabù in Italia, ma più per le istituzioni che per le persone. Personalmente, penso che ogni essere umano abbia il diritto di decidere della propria vita, del proprio corpo e anche della propria fine. Ma ognuno ha la propria storia personale, e quello che volevo fare era proprio addentrarmi in questi dubbi. Irene si fa pagare per fare quello che fa, e ci tenevo che fosse così, perché per lei è un lavoro, non volevo che fosse una scelta ideologica.
Nel suo film, in realtà, non si vede morire nessuno. Come mai questa scelta? E nell'epilogo del personaggio interpretato da Carlo Cecchi, si può vedere un omaggio a Mario Monicelli?
Mentre stavamo scrivendo abbiamo avuto notizia della morte di Monicelli, e del come è avvenuta, e sicuramente ha permeato la scrittura. Nel film non vediamo morire nessuno perché esteticamente non mi piace. Volevo che si sentisse tutto il peso e la tensione di questo evento, sacro e grave, ma senza lasciare tracce.
Qual è stato il suo metodo di regia, per un film così coerente anche visivamente?
Mi piacerebbe avere un metodo, ma ancora non ne ho. Ho fatto fotografie, ho preso appunti. Volevo che questo film fosse libero e formale allo stesso tempo, che le inquadrature avessero una serietà, senza fronzoli, ma all'interno di questo volevo anche qualche incidente di luce, uno spostamento di camera. Molte delle cose più belle esteticamente le ho dovute lasciare fuori, perché il film ha un tema tale che non sopportava il superfluo.
La cinepresa segue Jasmine Trinca molto da vicino, quasi come una telecamera nascosta. Quali sono i suoi riferimenti cinematografici?
Ho imparato da tutti i registi con cui ho lavorato. Mi piacciono i primi piani esagerati degli attori. Con Jasmine, più la filmavo e più avevo voglia di avvicinarmi e di guardarla nei particolari, il viso, la schiena, la nuca, non perché fosse necessario alla storia, ma perché più ti avvicini e più lei diventa bella.
Che cosa significa per lei essere a Cannes?
Ho sempre desiderato andare a Cannes e ho sempre pensato al Certain Regard per questo film. L'idea di andare lì tutti ben vestiti mi mette allegria. L'ho fatto altre volte, in realtà ti diverti sempre meno di quello che credi, ma l'idea di partecipare ti dà un senso di appartenenza alla cinematografia mondiale. Mi inorgoglisce.
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