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Philip Koch • Regista

Il punto esatto

di 

- Un talento emergente tedesco sotto i riflettori: Philip Koch parla del suo primo lungometraggio Picco, un crudo racconto di detenzione minorile, e dei suoi prossimi progetti

Philip Koch  • Regista

Quando Philip Koch invitò la sua attuale fidanzata ad andare al cinema per il loro secondo appuntamento, era deciso a giocarsi tutte le sue carte. Koch decise di portarla a vedere il suo film preferito in assoluto, Aguirre, furore di Dio, diretto dal suo regista prediletto Werner Herzog. “Lei lo detestò” afferma alzando le spalle, con un sorriso. “Ma siamo ancora insieme e andiamo forte”. Questo è il genere di storie che ci si può aspettare di sentire trascorrendo un’ora in compagnia del regista trentaduenne, parlando della sua vita e delle sue convinzioni artistiche. Tutto, a quanto pare, ruota attorno ai film per Koch in una maniera o nell’altra. Dopo tutto, è colui cui fu gridato dal pubblico di Cannes di considerare l’ipotesi di un trattamento psichiatrico, dopo che il suo sorprendente film d’esordio Picco [+leggi anche:
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fu proiettato alla Quinzaine des Réalisateurs nel 2010. Un’esperienza che egli ancora si gode cinque anni dopo: “È stata un’esperienza totalmente surreale. Il film era stato ben accolto al suo debutto presso Max Ophüls Festival a Saarbrücken qualche mese prima, ma è stato l’invito al Festival di Cannes che ha segnato un punto d’arrivo per me come regista, che ha fatto sì che la gente prendesse nota. Inoltre provocare una così profonda reazione emotiva da parte del pubblico è stato esilarante”.

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Non stupisce. Picco è un film duro, per dirla gentilmente. Si può percepire una crudeltà che ci si potrebbe aspettare da Michael Haneke, ma allo stesso tempo Picco richiama alla memoria un classico dedicato alla detenzione minorile, il film di Alan Clarke Scum che impressionò fortemente Koch quando lo vide per la prima volta. Il suo film è una netta critica al sistema penale, ma possiede anche qualità poetiche, una caratteristica che Koch ama chiamare “verità estatica”, che richiama i film del suo idolo Werner Herzog.

Picco è stato il suo film di fine studi, prodotto da Walker+Worm Film con meno di 100.000 euro. Il film fu rigettato ai German Film Awards, dove non fu nemmeno considerato tra I 60 film che si sarebbero giocati la chance di essere nominati, ma il suo costante successo presso festival internazionali, come ad esempio Londra o San Pietroburgo hanno fatto sì che Koch potesse portare avanti il proprio progetto.

Il regista ha intrapreso la realizzazione di un thriller sovrannaturale, utilizzando sceneggiature scritte per opere come il dramma televisivo Operation Zucker, diretto da Rainer Kaufmann, e in seguito si è riunito con il regista di Men in the City Simon Verhoeven, sceneggiatore vero e proprio, per discutere dell’horror thriller psicologico Unfriend. “Abbiamo terminato la scrittura della sceneggiatura insieme, ma il nostro piano iniziale di dirigere il film come una squadra è fallito piuttosto velocemente. Temo che siamo entrambi troppo ostinati perché un progetto simile possa funzionare”. Verhoeven ha diretto per conto suo il film ancora non pubblicato, e Koch ha ripreso in mano un progetto a cui stava lavorando da molto tempo, una black comedy chiamata Outside the Box.

Di nuovo basata su una storia vera che Koch lesse sui giornali, la sceneggiatura, che ha come soggetto un gruppo di consulenti esecutivi in un evento aziendale in Italia che va incredibilmente storto, si è in sostanza scritta da sola. Ancora una volta lavora con i produttori Philipp Worm e Tobias Walker, il film è stato girato lo scorso autunno, principalmente in Sud Tirolo. Volker Bruch, Stefan Konarske, Lavinia Wilson, Samuel Finzi e Frederick Lau sono tra gli interpreti principali. Koch sta dando il tocco finale al montaggio del film. “È complicato trovare il punto esatto in cui tutto funzioni come mi ero immaginato” afferma il regista. “Ma ci stiamo arrivando, dovrebbe risultare divertente, vagamente surreale e sopra le righe, ma non così tanto da diventare ridicolo”. Ad un primo sguardo diverge dall’implacabile realismo di Picco. Ma tralasciando le differenze tonali, si può ritrovare una tematica comune nei lavori di Koch: la lotta dell’individuo contro i vincoli di un sistema che gli è stato imposto.

“Cercare di ultimare i miei progetti contro ogni previsione è qualcosa che si riflette nel mio lavoro come regista ogni giorno. Ma non fraintendetemi: per quanto a volte possa essere dura, mi sento davvero fortunato e non ho intenzione di sprecare la mia fortuna”.

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(Tradotto dall'inglese)

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