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CANNES 2018 Un Certain Regard

Ali Abbasi • Regista

“Ci siamo presi qualche libertà ma siamo anche rimasti fedeli al cuore della storia”

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- CANNES 2018: Abbiamo parlato con il regista originario di Tehran, Ali Abbasi, del suo secondo lavoro, Border, basato sul racconto di John Ajvide Lindqvist e proiettato a Un Certain Regard

Ali Abbasi  • Regista
(© Pontus Lundahl/TT)

Il regista nato a Tehran Ali Abbasi ha visto molte cose in 37 anni su questo pianeta. In Iran, ha lavorato per diverse case editrici e riviste, specializzate nella scrittura di racconti brevi. Ha studiato al Politecnico di Tehran fino al 2002, quando si è spostato in Europa, a Stoccolma prendendo una laurea in Architettura nel 2007. Successivamente è stato accettato presso la Scuola nazionale di cinematografia della Danimarca, dove si è diplomato nel 2011. Il suo debutto, Shelley [+leggi anche:
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, ha avuto la sua première al Panorama del Festival di Berlino nel 2016, e il suo secondo lavoro cinematografico è stato presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes di quest’anno. Border [+leggi anche:
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, basato sul breve racconto di John Ajvide Lindqvist (Let the Right One In), è una strana storia su degli eccentrici outsider, che apparentemente camminano tra noi umani, ma davvero molto diversi da noi sotto diversi aspetti.

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Cineuropa: Che cosa l’ha attratta del racconto di John Ajvide Lindqvist e com’è stato il passaggio dalla pagina allo schermo?
Ali Abbasi:
E’ stato poco più di dieci anni fa. Il mio caro amico Milad Alami – anche lui è regista e attualmente se la sta cavando bene con il suo debutto cinematografico, The Charmer [+leggi anche:
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– ed io avevamo visto Let the Right One In [+leggi anche:
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, e ci era davvero piaciuto. Milad mi ha parlato del racconto di John, Border. “Gli ho dato un’occhiata ed è strano” disse. Così rimase in una parte della mia mente e quando mi è stato chiesto di realizzare un progetto svedese, circa cinque anni fa, mi è sembrato un buon progetto. Ho fatto una bella chiacchierata con John che mi ha dato anche un testo più adatto alla realizzazione del film, e successivamente ho avuto il suo permesso per modificarlo ed espanderlo. L’ho scritto insieme a Isabella Eklöf, ci siamo presi qualche libertà ma siamo rimasti anche fedeli al cuore della storia. John mi ha detto che gli piace molto.

Oltre ai “soliti sospetti” come Trier e Bergman, Border è uno dei pochi titoli nordici al Festival di Cannes di quest’anno. Quando Cannes, Venezia e Berlino invitano film scandinavi o nordici, sono spesso dei film dallo stile eccentrico o addirittura grottesco. Per esempio quelli di Roy Andersson o…
Ruben Östlund. Lo so. Credo che questi festival cinematografici assomiglino un po’ a dei buffet culturali: un po’ di mango, un po’ di ananas, un po’ di salmone, ecc. Sono originario dell’Iran e la situazione è esattamente la stessa lì. Sul continente europeo, Iran e Scandinavia vengono visti come “esotici”, pertanto si aspettano da noi film “esotici”. Inoltre la Scandinavia ha una popolazione inferiore alla metà della Francia. Sono più numerosi e possibilmente hanno anche una certa tradizione cinematografica. Detto ciò la Svezia deve essere grata per Ruben Östlund. Ce ne sono davvero pochi in giro come lui, ovunque.

Di recente, e probabilmente legata a questa scuola “eccentrica”, diversi film svedesi acclamati a livello internazionale hanno mostrato alcuni make-up elaborati e qualche volta sono stati nominati agli Oscar. Basti pensare a The Giant [+leggi anche:
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, Mr. Ove [+leggi anche:
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e Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve [+leggi anche:
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. Border continua certamente questa tradizione.   
Per quanto riguarda questa categoria, noi siamo di primo ordine. Göran Lundström, che ha lavorato su Border, merita qualsiasi premio e l’otterrà. Inizialmente non ho mai pensato a Border come “un film da trucco”. Ho cercato dei bei visi e ho trovato quelli di Eva Melander e Eero Milonoff, e da qui abbiamo iniziato a realizzare i personaggi. Ma a me piace lo sviluppo graduale per arrivare a un progetto F/X elaborato purché non si arrivi a una sorta di pantomima natalizia. Ce ne siamo tenuti a distanza. 

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(Tradotto dall'inglese da Francesca Miriam Chiara Leonardi)

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