CANNES 2018 Semaine de la Critique
Guillaume Senez • Regista
"Che cosa succede se l’equilibrio si rompe?"
- CANNES 2018: Incontro con Guillaume Senez, il cui secondo lungometraggio, Le nostre battaglie, con Romain Duris protagonista, è presentato quest’anno alla Semaine de la Critique
Nel 2016 è uscito Keeper [+leggi anche:
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intervista: Guillaume Senez
scheda film], primo lungometraggio di Guillaume Senez, che ha girato i festival di tutto il mondo e ha ricevuto diversi premi. Il film affrontava la questione di una gravidanza adolescenziale non desiderata dal punto di vista del (giovane) padre. Con Le nostre battaglie [+leggi anche:
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intervista: Guillaume Senez
scheda film], presentato alla Semaine de la Critique del 71° Festival di Cannes, il regista tratta di nuovo il tema della paternità (e dell’essere figli) attraverso una situazione "inversa", quella di Olivier, che si ritrova da solo con i suoi due figli dopo che sua moglie li ha abbandonati dall’oggi al domani.
Cineuropa: Come è nato il progetto?
Guillaume Senez: Mi sono separato dalla madre dei miei figli cinque anni fa, poco prima di cominciare a girare il mio primo lungometraggio, Keeper. Mi sono ritrovato da solo con loro, in affidamento congiunto, e ho dovuto imparare ad ascoltarli, a guardarli, a capirli. È stato molto difficile, e allo stesso tempo molto bello, perché ho imparato molte cose.
Mi chiedevo cosa sarebbe successo se la madre dei miei figli fosse scomparsa. Come bilanciare l'impegno professionale con l'impegno familiare in questi casi?
In un certo senso, come far fronte alla vita moderna?
E’ esattamente questo, come affrontare questo cambiamento sociale che ha un forte impatto sulla vita familiare. È anche un film sulle ripercussioni che il lavoro può avere sulla famiglia. Cosa succede se l’equilibrio si rompe? In modo molto teorico, è stato un po' come chiedersi come la famiglia possa far fronte a questo capitalismo 2.0.
Il film pone la domanda: esserci per i propri figli, che cosa significa?
E’ una domanda che è stata spesso dibattuta scrivendo la sceneggiatura con Raphaëlle Desplechin. Che cosa conta: la qualità del tempo trascorso con i bambini o la quantità? Quello che volevo mostrare è quanto sia difficile aiutare le persone che amiamo. Quando l'affetto c’è, è iper complicato. Olivier è un personaggio che non riesce ad aiutare le persone che ama. Non può aiutare sua moglie. Con i suoi figli, è la stessa cosa all'inizio, impara poco a poco a comunicare con loro e a diventare padre. Quello che mi piace di questo personaggio è che spesso fa le cose molto goffamente, ma lui lo sa, e si scusa, e questo è molto commovente.
Le scene girate nello stabilimento di imballaggio hanno un impatto estetico ed emotivo molto forte.
All'inizio, il mondo sindacale era più presente, ma andando avanti con la scrittura, ci siamo concentrati sulla famiglia, sono là le nostre battaglie. Volevo mostrare il mondo del lavoro oggi, l'uberizzazione della società.
Questa fabbrica gigantesca offriva una prospettiva molto visiva della situazione di Olivier. Il suo posto nel mondo del lavoro alimenta il personaggio in filigrana. È importante sapere in quale mondo vivono i personaggi.
Come ha scelto di trattare l’assenza della madre, Laura?
La sfida era mantenere vivo il personaggio di Laura dopo la sua scomparsa. Non bisognava condannare questo personaggio. Ma una madre che abbandona i suoi figli è un tabù! Mentre quando un padre abbandona la moglie e i figli, nessuno si sconvolge. Qui Olivier non la condanna mai e continua ad amarla, proprio come i personaggi che lo circondano e lo sostengono.
Come ha scelto Romain Duris?
È arrivato molto presto. È un attore che apprezzo molto, sapevo che gli piaceva mettersi in gioco. Ci siamo incontrati prima che la sceneggiatura fosse scritta, gli ho parlato del mio metodo di lavoro, e questo lo ha interessato in modo particolare.
Può dirci qualcosa di questo metodo?
Lavoro senza dialoghi, tutti devono essere presenti allo stesso tempo, ascoltare. Cerchiamo parole, ci sovrapponiamo, ci sono incidenti, e queste sono le cose che cerco, questa spontaneità. Lavoriamo molto sui personaggi, sulla loro evoluzione, mostro film e articoli agli attori. Spesso i primi tre quattro take servono a impostare le cose. Poco a poco arriviamo al dialogo. Sono gli attori che scrivono il loro testo, in empatia con i loro personaggi. Non sono fissato con i dialoghi finché l'intento è lì. In realtà è esattamente questo: lavoriamo sull'intento della scena.
(Tradotto dal francese)
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