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KARLOVY VARY 2018 Industria

Adele Tulli • Regista

"Miro a generare prospettive per contrastare le narrative eteronormative"

di 

- KARLOVY VARY 2018: Abbiamo incontrato la filmmaker italiana Adele Tulli, che ha vinto l'Eurimages Lab Project Award a Karlovy Vary con il suo progetto Normal

Adele Tulli • Regista

Tra gli eventi di settore del Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary, anche quest'anno è stato selezionato il Lab Project Award di Eurimages, che vanta progetti con modelli che vanno oltre i metodi cinematografici tradizionali e si basano sulla cooperazione internazionale. Il premio di 50.000 euro è stato assegnato al progetto della regista italiana Adele Tulli, intitolato Normal [+leggi anche:
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e prodotto da FilmAffair, che racconta un viaggio attraverso le norme di genere nell'Italia contemporanea. Abbiamo incontrato la regista per parlare del film, ancora in fase di realizzazione.

Cineuropa: Qual è il cuore del vostro progetto e da dove nasce?
Adele Tulli:
Ho iniziato questo progetto per il dottorato di ricerca quattro anni fa. All'epoca, mentre il Parlamento italiano discuteva diverse questioni progressiste come l'educazione di genere nelle scuole e le unioni civili gay, la parola "normale" diventava onnipresente nel dibattito pubblico nazionale: veniva usata sia dai gruppi conservatori che incoraggiavano le proteste contro le proposte di legge, che dalle organizzazioni che le difendevano e le promuovevano. Entrambe le parti erano in qualche modo coinvolte nella definizione di idee polarmente opposte su ciò che conta come "normale" - quali ruoli di genere e preferenze sessuali sono degni di un'identità sociale rispettabile. Il mio intento con il film è stato quello di articolare alcuni dei pensieri e delle idee riguardanti le pratiche e le routine quotidiane che stabiliscono quale sia la condotta di gruppo accettabile in termini di genere e sessualità. Tracciando un ritratto della rappresentazione rituale della femminilità e della mascolinità durante le interazioni ordinarie, Normal guarda allo spettacolo quotidiano della normatività di genere attraverso una lente leggermente distorta ma intima, esplorando le contraddizioni e le lotte che popolano le nostre esistenze, dovendo conformarsi alle aspettative della società.

Come pensa che il suo film risponderà all'attuale questione della rappresentazione del genere nell'arte, e nel cinema in particolare?
La rappresentazione del genere nell'arte e nel cinema ha generato gli approcci più impegnativi, stimolanti e rivoluzionari, così come quelli più normativi e persino offensivi. Credo che il mio film non intenda offrire risposte nette, ma piuttosto sollevare domande critiche sul modo in cui costruiamo e abitiamo le nostre identità di donne e uomini, e su quali siano i comportamenti, i gesti, gli atteggiamenti, i ruoli e le aspettative interiorizzati per ciascun genere. In sostanza, il film indaga le complesse dinamiche che danno forma ai desideri e alle identità delle persone, e cerca di farlo utilizzando il cinema come forma d'arte in grado di interrogare e sfidare la realtà, piuttosto che rappresentarla semplicemente.

Lei è una delle due donne all’origine di questo progetto. L'esperienza femminile sarà messa in particolare evidenza?
Per me essere una regista donna non significa avere un punto di vista specificamente "femminile", necessariamente antagonista a quello di un collega uomo. Non credo in nulla di "essenzialmente" femminile o maschile. Penso che dobbiamo lottare per avere più film diretti da donne semplicemente perché le opportunità non sono le stesse al momento: nonostante le donne siano ormai ben rappresentate nelle scuole di cinema, pochissime riescono a realizzare il loro primo film e, in media, le donne registe ricevono budget inferiori rispetto ai loro colleghi maschi. In Normal, il mio obiettivo è stimolare la riflessione su come entrambi i generi sono costruiti e interpretati dagli individui nella società contemporanea, e su come questo processo si traduca in diverse forme di oppressione.

Qual è il suo punto di vista sulla palese disuguaglianza tra donne e uomini nell'industria cinematografica in generale? Come possiamo lavorare per risolverla?
Le statistiche sulla disuguaglianza di genere nell'industria cinematografica sono sconfortanti. In quasi tutti i ruoli - dai registi agli scrittori e ai direttori della fotografia - le donne sono sottorappresentate. Ma questo è vero anche in molti altri settori. È difficile dire in poche parole come possiamo lavorare per risolvere questo problema, ma credo che il primo passo di ogni cambiamento inizi sempre con l'educazione. Poiché ho il privilegio di insegnare agli studenti di cinema, investo molte energie nella creazione di un ambiente di apprendimento femminista (che per me non comprende solo cosa e come si insegna, ma anche la consapevolezza delle dinamiche di potere all'interno della classe). Poi, naturalmente, a livello industriale dovrebbero esserci programmi che incoraggino una pari rappresentanza di genere nelle selezioni dei festival, nelle giurie, negli enti di finanziamento e così via, per costruire un'industria più inclusiva.

Lei affronta questo tema attraverso il documentario creativo. Quali sono gli aspetti positivi che questo approccio può apportare alla questione?
Considero il documentario un "atto performativo" tra le immagini e la realtà che dovrebbero rappresentare. Il mio approccio alla non-fiction non persegue necessariamente verità oggettive, ma piuttosto prospettive soggettive. In altre parole, per me le forme documentarie possono essere utilizzate per provocare un'interpretazione critica della realtà che osservano. Nel mio film mi propongo di presentare un ritratto disorientante delle idee accettate di normalità e di generare prospettive critiche e aperte per contrastare le narrazioni eteronormative.

In cosa vi aiuterà in particolare il premio Eurimages? Cosa vi manca ancora per completare il film?
Siamo estremamente felici e grate di aver vinto il premio Eurimages perché ci aiuterà a completare la post-produzione del film.

(Tradotto dall'inglese)

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