Marija Kavtaradzė • Regista di Summer Survivors
"Mando il mio affetto a coloro che rivedono se stessi o i loro cari nei nostri personaggi"
- TORONTO 2018: Abbiamo parlato con la regista e sceneggiatrice Marija Kavtaradzė a proposito del suo primo lungometraggio, Summer Survivors, che affronta i problemi di salute mentale
L’emergente regista-sceneggiatrice lituana Marija Kavtaradzė si occupa di problemi di salute mentale da una prospettiva diversa – e attraverso un road trip – nel suo film di debutto, Summer Survivors [+leggi anche:
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intervista: Marija Kavtaradzė
scheda film]. Dopo la prima internazionale nella sezione Discovery del 43mo Festival internazionale del cinema di Toronto, abbiamo parlato con Kavtaradzė delle sue ispirazioni, delle decisioni artistiche e dell’importanza della sopravvivenza.
Cineuropa: Qual è stata la principale ispirazione di questo film?
Marija Kavtaradzė: Summer Survivors è ispirato a reali esperienze di vita, e lo scopo principale era di parlare ad alta voce e con orgoglio della salute mentale affinché le persone che ci lottano si sentano meno sole.
In che modo crede che il suo film possa aiutare riguardo alla salute mentale?
Mi auguro che Summer Survivors contribuisca al grandioso lavoro di alcune persone – non solo in Lituania, ma in tutto il mondo – volto a eliminare lo stigma dalla malattia mentale. Ora ne parliamo più apertamente, diffondendo informazioni ogni giorno. Solo parlandone in maniera davvero semplice e lasciando che gli spettatori imparino a conoscere e amare i personaggi possiamo arrivare a questo. Inoltre, non posso enfatizzare troppo l’importanza di parlare di questi problemi adesso. Non volevo aspettare, perché troppo spesso iniziamo il dialogo quando è già troppo tardi.
È stato difficile esaminare e descrivere i sintomi delle malattie?
La parte più difficile è stata esplorare le esperienze di vita, quelle esperienze che non avrei mai sospettato sarebbero diventate parte della “ricerca” che più tardi mi ha portato a questo film. Naturalmente, mentre scrivevo il copione, ho consultato psichiatri e psicologi perché dovevo imparare a conoscere meglio dalla loro prospettiva il sistema di salute mentale affinché potessi rendere le cose più credibili e reali.
Al di là del viaggio concreto, cosa simboleggia questo viaggio per i suoi protagonisti?
Ogni viaggio ha le sue sfide in cui i personaggi rivelano davvero se stessi. Volevo gettarli in una situazione in cui tutti sarebbero stati ugualmente vulnerabili. Adoro i road movies, ed è stato un vero piacere scrivere il copione. Sentivo come se stessi viaggiando accanto ai miei eroi mentre, passo dopo passo, imparavo a conoscerli meglio.
Inoltre, volevo creare la sensazione che i miei protagonisti sembrassero, da lontano, un altro gruppo di giovani felici e spensierati che sta semplicemente andando al mare. Solo lo spettatore ha la possibilità di avvicinarcisi e osservare le reali lotte che stanno combattendo.
È anche la ragione per cui li chiama “sopravvissuti”?
Mi piace la parola “sopravvissuto” perché suggerisce che i nostri eroi siano attivi: lottano per sopravvivere, anche se non sempre sembra così. Restare vivi quando si combatte una guerra nella propria testa è un lavoro incredibilmente difficile. Si ottiene riconoscimento per il lavoro ma non si è premiati da nessuno per essere rimasti vivi, e questo è più difficile.
Ho quindi voluto mandare il mio affetto a chi capisce meglio di chiunque altro di cosa tratta questo film, chi si rivede o rivede i propri amici o persone care nei nostri personaggi. In loro vedo davvero un bel po’ di forza e speranza, nelle loro battaglie e la volontà di sopravvivere. Potrebbe essere estremamente sentimentale ma, per me, loro sono supereroi, ed è per questo che ho voluto chiamarli sopravvissuti. Volevo solamente dire: “Potresti non farcela fino alla fine, ma hai fatto molta strada e per questo ti rispetto. So cosa stai passando, e so che fa schifo”.
Anche se invece di optare per un approccio drammatico, dà un tocco più ironico.
Credo fortemente che l’umorismo sia un modo per affrontare la sofferenza. Quando sei vicino alla morte, combatti con il sorriso. In pratica, questo è davvero ciò che abbiamo.
Come si è approcciata alla storia con i suoi attori?
Abbiamo parlato, provato tante volte e anche ascoltato la musica. Abbiamo fatto alcune ricerche: per esempio, Paulius Markevičius, per il suo ruolo ha studiato i disordini bipolari. Tutti i tre attori principali sono grandi professionisti e persone molto sensibili. È stato un vero piacere lavorare con loro.
Per quanto riguarda la musica, perché ha utilizzato le canzoni di Hiperbolė?
Hiperbolė è un gruppo ben conosciuto dai lituani e la loro musica dà la sensazione di qualcosa di sicuro e riconoscibile. Questo è in contrasto con gli umori variabili e la solitudine che i personaggi affrontano. Le loro canzoni, inoltre, sono molto commoventi e mi colpiscono al cuore, ma in un modo positivo.
Quali sono state le principali sfide nel girare il film?
Credo che la più grande sfida in qualsiasi film sia aprirsi ed essere onesti. Sul versante pratico, non avevamo un budget enorme e solo 18 giorni di riprese. Non posso lamentarmi, comunque, poiché realizzare questo film, in quel momento e in quel modo, è stata una decisione cosciente. Come ho detto prima, non volevo aspettare.
(Tradotto dall'inglese da Gilda Dina)
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