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IFFR 2019 Concorso Big Screen

Anke Blondé • Regista di The Best of Dorien B.

"Dorien lotta per reinventarsi, per riappropriarsi dei suoi sogni"

di 

- Abbiamo incontrato la regista belga Anke Blondé, che presenta il suo primo lungometraggio, The Best of Dorien B., al Festival di Rotterdam

Anke Blondé • Regista di The Best of Dorien B.
(© Kris Dewitte / A Private View)

Diplomata in regia, Anke Blondé ha lavorato a lungo come direttrice di casting, in particolare per Felix Van Groeningen, prima di realizzare il suo primo corto, Dura Lex, che ha circolato in diversi festival. Il suo primo lungometraggio, The Best of Dorien B. [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Anke Blondé
scheda film
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, è presentato in anteprima mondiale al Festival di Rotterdam (IFFR).

Cineuropa: Chi è la sua eroina, Dorien?
Anke Blondé: E’ un’anti-eroina. È divertente e discreta allo stesso tempo, volevo creare un personaggio di cui lo spettatore volesse essere amico. Io non sono Dorien, e Dorien non è me. È piuttosto la sintesi di molte donne che conosco. 

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All’inizio sembra un po’ estranea a ciò che le succede, come se fosse anestetizzata dalla sua vita quotidiana…
Alla fine si rende conto che aveva seguito la strada che era stata tracciata per lei, ma che a volte bisogna osare rifiutare il conforto. E riappropriarsi dei propri sogni. Penso che a un certo punto tutti si ritrovino a un bivio nella propria vita, dove devi guardare indietro e chiederti cosa vuoi veramente fare, a costo di reinventarti se non sei soddisfatto. È qualcosa che io stessa ho vissuto quando sono diventata madre. Sembrava quasi troppo comodo per me, questo lavoro da direttrice di casting. E in fondo a me, sapevo che volevo dirigere. Nello stesso momento, i miei genitori si sono separati. Mi sono sentita improvvisamente vacillare, e mi sono detta: "Ma chi sono io?". Era una crisi di mezza età molto precoce, o una crisi adolescenziale molto tardiva! Dorien ha un'illuminazione, deve cambiare qualcosa nella sua vita: la sua vita di coppia, la sua vita di madre, la sua vita professionale.

Il tono è piuttosto tragicomico, anche ironico…
Volevo evitare che la storia fosse unidimensionale, che si dicesse: "Oh, un altro film su una depressione...". Volevo giocare sugli opposti, per trovare meglio l'equilibrio. Rispetto alla scenografia, ad esempio, volevo che Dorien fosse come intrappolata tra gli alberi, in una sorta di casa da fiaba degenere, mentre per i costumi, abbiamo scelto di andare verso colori più chiari o anche pastello. Era anche necessario trovare l'attrice giusta, che offrisse il giusto equilibrio tra dramma e umorismo, e sono felicissima di Kim Snauwaert. La felicità si misura nell’infelicità, l’umorismo e il dramma si alimentano a vicenda. 

Si accenna al cancro di cui soffre Dorien senza mai parlarne.
Non volevo fare un film sul cancro, ma volevo che Dorien si confrontasse con qualcosa di drammatico. E poi è una prova molto legata alla sua femminilità. Questo la mette ancor di più a confronto con le domande che si pone, e la malattia finisce per renderla incredibilmente forte e coraggiosa.

Dorien è una veterinaria: perché ha scelto questo mestiere?
È un'idea del mio co-sceneggiatore, che mi piace molto. Mi sono informata molto, ho passato giornate con i veterinari. È quasi come lo studio di uno psichiatra. Le persone vengono a parlare dei loro animali, ma in realtà parlano di sé! È davvero molto interessante osservare il comportamento umano quando si è seduti in uno studio veterinario... 

Molti le chiederanno se è un film per donne…
Sicuramente otto anni fa, quando ho iniziato questo progetto, non mi sono detta: ecco, voglio fare un film per donne! Credo che questa crisi di identità colpisca sia gli uomini che le donne, ma è certo che ci sono più donne che uomini che vivono questo conflitto interno: come conciliare la vita professionale e la genitorialità? Queste preoccupazioni sono sempre più condivise, ma ecco... c'è ancora molto da fare per dividere il potere in modo diverso, specialmente nella sfera familiare.

Anche se la maggior parte delle donne della mia generazione si sono sempre sentite dire che potevano fare quello che volevano, in realtà non è vero. Quando abbiamo figli, non siamo liberi nelle nostre scelte professionali, specialmente se sei donna. In effetti, volevo che i genitori fossero presenti nella storia, perché la nostra identità dipende tanto dal modo in cui siamo stati educati. Possiamo ad ogni modo scrivere la nostra storia, anche se è difficile combattere contro il software che ci è stato impiantato da piccoli!

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(Tradotto dal francese)

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