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CANNES 2019 Semaine de la Critique

Hafsia Herzi • Regista di Tu mérites un amour

"Ho ripreso i miei personaggi con molto amore, e nel film si percepisce"

di 

- CANNES 2019: L’attrice Hafsia Herzi ci parla del commovente Tu mérites un amour, il suo primo lungometraggio davanti e dietro la macchina da presa

Hafsia Herzi  • Regista di Tu mérites un amour

L’attrice Hafsia Herzi, scoperta da Abdellatif Kechiche nel film Cous cous [+leggi anche:
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, rievoca per Cineuropa la nascita molto spontanea del suo primo commovente lungometraggio da regista (e attrice principale) Tu mérites un amour [+leggi anche:
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, proiettato alla 58ma Semaine de la Critique tra le proiezioni speciali.

Cineuropa: Ci può descrivere com’è nata l’idea di Tu mérites un amour?
Hafsia Herzi: In realtà, il mio primo lungometraggio doveva essere un film dal titolo Bonne mère, che ho già scritto e per cui sto aspettando delle risposte per il finanziamento; avevo voglia di lanciarmi nell’autoproduzione di un film senza risorse. Ed è così che mi sono svegliata una mattina di luglio con un forte impulso artistico e mi sono detta “bisogna che tu giri un film subito; questo è il momento di realizzare il progetto che hai voglia di concretizzare da anni, senza soldi”. E così, sono andata a ripescare nel mio archivio di sceneggiature quello più adatto.

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Partendo da una struttura semplice, il film piano piano raggiunge una certa intensità. In che misura il film era scritto?
Era molto scritto, perché non si può improvvisare un film – o probabilmente alcuni ci riescono, ma quello che contava per me è che nell’insieme il film fosse ben inquadrato. Quindi, quando ho deciso dall’oggi al domani di girare un film, in cinque giorni abbiamo iniziato le riprese, ma abbiamo cominciato dalle scene dove ero sola. Ci sono stati cinque giorni di riprese a luglio, cinque ad agosto e cinque a settembre; nell’intervallo tra una ripresa e l’altra, ho preparato le scene successive e rivisto la sceneggiatura in relazione alle persone che avevo scelto. Mi piacciono molto i dialoghi ben fatti – per esempio, sono una grande fan di Marcel Pagnol, nei cui film a volte si parla per un quarto d’ora di pane, di tutto e di niente, della vita…

In questo, il suo film ricorda il cinema di Kechiche: soprattutto il suo modo tutto particolare di immergersi nelle cose della vita che ci fanno stare bene e con dei personaggi che alla fine ci troviamo ad amare.
Non ho assolutamente cercato di imitare Abdellatif Kechiche, che tra l’altro è inimitabile, ma ammetto che rappresenta un po’ il mio esempio da seguire. È un regista e un uomo ricco di passioni che ammiro molto ed è lui che mi ha dato la voglia di realizzare un film. Ho ripreso i miei personaggi con molto amore, e credo che nel film si percepisca, perché ho scelto delle persone con un gran cuore e penso che l’anima si intuisca attraverso l’immagine – ci tengo a precisare che Jérémie Laheurte, che interpreta il ruolo del “cattivo”, è molto generoso e gentile. Anche Anthony Bajon è stato un colpo di fulmine artistico: l’ho scoperto nel film La Prière [+leggi anche:
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intervista: Cédric Kahn
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di Cédric Kahn [con cui ha vinto l’Orso d’argento nel 2018 come miglior attore a Berlino, N.d.R.], nonostante il fatto che in questo film abbia un ruolo opposto rispetto a quello molto dolce che interpreta nel mio, ho riconosciuto immediatamente una persona dal cuore d’oro. Ha uno sguardo incredibile, un aspetto incredibile, il suo essere “uomo” è rassicurante e allo stesso tempo commovente. La scelta degli attori che erano alla prima esperienza sul grande schermo è stata il risultato di incontri, perché mi piace chiacchierare con i giovani che vogliono lavorare nel cinema e che vengono a chiedermi consigli. Insomma, mi sono circondata di gente stimolante e questo si avverte nello sguardo.

Come ha fatto a coordinare i due lati della macchina da presa, tanto più che si mette molto a nudo, sia fisicamente che psicologicamente?
Siccome la decisione di girare un film l’ho presa su due piedi, non ho davvero avuto il tempo di riflettere, non mi sono posta troppe domande, mi sono lanciata, dicendomi che tanto, quando si dirige un film si porta il peso di tutto sulle spalle. L’energia di un film è il regista, non avevo diritto all’errore, era necessario lasciarsi andare e perciò mi sono lasciata andare senza riflettere troppo.

Ci può dire un po’ di più sul progetto Bonne mère, che avrebbe dovuto essere il suo primo lungometraggio?
La mia società di produzione si chiama Les films de la bonne mère, in riferimento alla chiesa di Notre-Dame de la Garde a Marsiglia, uno splendido monumento che veglia sulla città. Il film racconta di una madre di famiglia sulla cinquantina che vive a Marsiglia nei quartieri nord, donna della pulizia e che si occupa di una signora anziana, con tre figli di cui uno in prigione. Il film segue le sue orme fino al processo del figlio ed è il ritratto di una donna forte, onesta, dignitosa, che cerca di cavarsela e di rimanere forte per i suoi figli. Spero che Tu mérites un amour mi aiuti a trovare i soldi necessari che mancano per poter fare questo film, che spero di realizzare presto, forse a settembre.

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(Tradotto dal francese da Laura Pacini)

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