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Carlos Marques-Marcet • Regista di Los días que vendrán

"La grande sfida consiste nel mostrare il pensiero dei personaggi"

di 

- Carlos Marques-Marcet ha presentato al 47° Festival internazionale del cinema di Huesca il suo terzo film, Los días que vendrán, due settimane prima della sua uscita nelle sale spagnole

Carlos Marques-Marcet • Regista di Los días que vendrán
(© Jorge Dueso/Festival Internacional de Cine de Huesca)

Questa è la terza volta che Cineuropa parla con il cineasta spagnolo Carlos Marques-Marcet. Stavolta è stato durante il 47º Festival internazionale del cinema di Huesca, città aragonese dove il cineasta catalano è venuto a presentare Los días que vendrán [+leggi anche:
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intervista: Carlos Marques-Marcet
scheda film
]
, trionfatore all’ultima edizione di Málaga e che arriverà nelle sale cinematografiche spagnole il prossimo 28 giugno, distribuito da Avalon. Ne abbiamo parlato con il regista.

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Cineuropa: Si percepisce una grande empatia da parte del pubblico per l’intimità che trasmette Los días que vendrán.
Carlos Marqués-Marcet: Abbiamo raggiunto questa intimità perché abbiamo girato con piccole attrezzature e perché vivevo porta a porta con gli attori principali: tutte le prove venivano fatte lì e avevamo abbastanza familiarità, perché si sentivano come a casa. Ciò ha reso facile non andare di fretta, fare i take necessari e avere abbastanza tempo, senza l'ossessione di guardare sempre l'orologio. In questo film, ho portato ai massimi termini qualcosa su cui stavamo lavorando nei film precedenti. Anche qui, montavamo mentre giravamo, vedendo come andava tutto, imparando dai nostri stessi errori e affinando, qualcosa che non avevamo in Tierra firme, dove non potevamo ripetere i take. Sebbene quella produzione fosse più grande, qui abbiamo avuto più giorni di riprese: un anno e mezzo in totale; e il 40% delle riprese si sono svolte dopo che gli attori principali hanno avuto la figlia.

Il film afferma, tra tanti altri temi, che a volte non possiamo, anche se vogliamo, portare a termine ciò che abbiamo pianificato, perché la vita ti spinge verso un altro percorso inaspettato...
È vero, nella sceneggiatura c'era un'idea di continuità con la vita dei genitori, ma ci siamo resi conto che era più interessante affermare che la vita non ti porta sempre dove vuoi. C'era anche l'idea di fare un film in cui una vita sta crescendo e, da un altro lato, il conflitto di coppia, la questione delle relazioni. Ma la vita stessa supera tutto ciò che gli esseri umani possono calcolare o misurare.

Al momento delle riprese, sono emersi degli aspetti che ha aggiunto alla storia?
Sì, le improvvisazioni hanno creato la sceneggiatura, abbiamo scritto approfittando di ciò che è emerso nelle prove: la maggior parte della sceneggiatura è scritta a partire da improvvisazioni. E ha qualcosa del documentario perché i momenti in cui vedi la protagonista con una pancia enorme, sono stati girati quando lei era veramente incinta.

Le gravidanze compaiono in tutti i suoi film.
Esatto, perché è uno di quei momenti in grado di provocare un terremoto nelle nostre vite e di modificarle radicalmente: non ci sono tante cose del genere nella vita di tutti i giorni. Nei film di Ozu era il matrimonio a cambiare le esistenze, decisioni che modificavano il resto della vita dei personaggi. Oggigiorno, avere figli o no cambia la tua esistenza: lì c'è un conflitto che mi interessa molto.

Continuerà con questo tema nei film a venire?
No, credo di aver chiuso un ciclo, anche se mi piacerebbe esplorare le relazioni tra genitori e figli. Per me, fare film è un modo per indagare su questioni che mi riguardano: mi aiutano a chiedermi cosa sia la vita, come ci amiamo l'un l'altro o perché siamo qui. Mi interessa indagare su ciò che ci circonda e la difficoltà di comprendere l'altro, una difficoltà presente nelle relazioni di qualsiasi tipo o genere. Il cinema ha qualcosa di diverso: quando filmi, riprendi qualcuno e vai incontro all'altro. Mi interessa ciò che mi è vicino: a volte non abbiamo idea di come l'altra persona viva le esperienze che condividiamo con lei.

Ieri, in un incontro con il pubblico di Huesca, ha parlato di come la cinepresa catturi il pensiero: con Los días que vendrán ci è riuscito meglio che nei suoi film precedenti.
Ci si raffina, a poco a poco. Inoltre, mi interessa il nesso che c'è tra l'emotivo e il razionale, poiché vanno mescolati. Rappresentare il pensiero dell'altro è stata la grande sfida. Con questo film c'è stato anche un processo – alquanto liberatorio – di lasciare che le cose accadano: è vero che siamo stati fortunati, ma bisogna anche essere lì per coglierle. Bisogna arrendersi al cinema e a ciò che ha di inaspettato.

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