Marcus Vetter • Regista di The Forum
"Questo film è l'inizio di un viaggio sia per noi che per il pubblico"
- Abbiamo parlato con il regista tedesco Marcus Vetter, il cui ultimo documentario, The Forum, ha aperto il Festival internazionale del documentario e del film d'animazione DOK Leipzig
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Cineuropa: Come è riuscito a ottenere la possibilità di accedere a un tale evento?
Marcus Vetter: A dire il vero è stato il produttore, Christian Beetz, a ottenere l’ingresso. Ha incontrato il professore Klaus Schwab, e, insieme, sono stati i primi a parlare di un possibile film. Si trattava di un progetto molto difficile e complesso per il quale trovare un regista, e Christian venne da me due anni fa dicendomi che Schwab era d’accordo, a patto che il film non parlasse di lui.
Io, invece, ho voluto prima incontrare Schwab, per capire come la pensava. Era fondamentale per me: innanzitutto, perché aveva fondato il World Economic Forum? E perché lo stava portando avanti? Quando l’ho incontrato, ho subito notato la sua personalità molto interessante. Non è dotato delle particolari doti oratorie che ci si aspetterebbero da queste persone d’élite, anzi il suo modo di parlare è un po’ rétro. Gli ho spiegato che il pubblico desiderava sapere chi lui fosse e perché lo stava facendo, e se mai aveva pensato di aver fallito. Mi rispose che lo comprendeva, e che era disposto ad accettarlo.
Nella pratica, come è stato girato il film? Disponeva di una grande troupe, e in che modo si è approcciato all’evento rispetto alle televisioni e agli altri media, ai quali – a differenza vostra – non è stato permesso accedervi?
Al primo Forum a Davos, nel 2018, eravamo solamente io e un tecnico del suono. In quell’occasione ho potuto verificare fino a che punto potessi spingermi, quali cose Schwab mi avrebbe permesso di fare, e durante il nostro primo incontro, gli dissi di aver preso un impegno con il mio pubblico, il quale era desideroso di vedere oltre le porte chiuse, di vedere la sua diplomazia e capire cosa dicesse ai capi di stato – e in che modo. Sono riuscito a girare alcune scene dei colloqui a porte chiuse con Theresa May, Macron e Trump, nonostante sia dovuto uscire una volta finito di parlare del tempo.
Dissi a Schwab che non era possibile girare il film in questo modo, poiché il pubblico si sarebbe sentito tradito. Lui rispose che i capi di Stato, pur non sentendosi a loro agio di fronte a una telecamera, ci avrebbero provato. L’evento successivo fu l’Asian Summit ad Hanoi: mi aveva invitato lì e in quell’occasione si aprì molto. Riuscii addirittura a partecipare al colloquio con i funzionari indonesiani e Aung San Suu Kyi, e fu in quel momento che realizzai che avrei potuto girare il film nel modo in cui lo avevo immaginato.
Poi a Davos, nel 2019, girammo con una telecamera più piccola, e io mi occupavo del suono. Andai da Jair Bolsonaro e gli chiesi se potessi registrarlo con il mio microfono, e lui acconsentì. Così tenni il mio microfono sopra la sua testa per circa 15-20 minuti, e Al Gore, che aveva visto tutto, si avvicinò per parlare con Bolsonaro, creando una delle scene chiave del film. Formavamo una piccola troupe, sembravamo meno professionali, eppure riuscivamo a ottenere le scene migliori. È in questo che consiste l’arte di girare i documentari: essere piccoli.
Quanto pensa siano seri i capi di Stato e i dirigenti delle grandi compagnie, quando dicono di voler cambiare il mondo? Con tutto quello che sta succedendo, è difficile prenderli sul serio.
Questo era il grande interrogativo, e credo di non aver mai trovato la risposta giusta. Discutendo con questa élite di etica, mi sono reso conto che alcuni di loro intendono fare qualcosa di buono, ma nel lungo periodo. Ho parlato con Marco Lambertini di WWF, il quale mi ha raccontato che i dirigenti delle grandi compagnie iniziano a dispiacersi per quanto hanno fatto in passato e intendono cambiare.
Deve esserci molto altro materiale interessante, che non è stato incluso nel film. Sta pensando di girarne una versione estesa o realizzare una serie TV?
Certo, abbiamo dovuto ridurre il film a 120 minuti per esigenze cinematografiche. Non volevo perdere i progetti del World Economic Forum, e non volevo che il film avesse un taglio marcatamente politico, poiché i progetti al quale il Forum sta lavorando sono molto importanti. In definitiva, il film dovrebbe dare al pubblico la possibilità di osservare l’organizzazione e, forse, dire: “Approfondirò l’argomento”. Il film è una fonte di spunti, così molto probabilmente realizzeremo una mini serie – forse addirittura altre due – dopo di essa. Questo film rappresenta l’inizio di un viaggio, sia per noi che per il pubblico.
(Tradotto dall'inglese da Gaia De Antoni)