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BERLINALE 2020 Panorama

Lisa Weber • Regista di Running on Empty

"Non è stato facile osservare dall’esterno come sprecassero ogni opportunità per fare le cose, ma ho imparato ad accettarlo"

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- BERLINALE 2020: Abbiamo incontrato Lisa Weber, regista del documentario Running on Empty, presentato in anteprima nella sezione Panorama

Lisa Weber  • Regista di Running on Empty
(© Marisa Vranješ)

Abbiamo incontrato la regista Lisa Weber in occasione della première del suo documentario Running on Empty [+leggi anche:
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nella sezione Panorama dell’edizione di quest’anno della Berlinale. Si tratta di un’opera in cui ci offre un raro spaccato della vita quotidiana di un famiglia austriaca, la cui sopravvivenza è garantita solo dagli aiuti statali. Con le sue inquadrature la cinesta riesce a catturare uno stato di stasi, ma ciò non le impedisce di trattare temi rilevanti, avvicinandosi ai personaggi con rispetto e sensibilità.

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Cineuropa: Come le è venuta l’idea di questo documentario e come è entrata in contatto con la famiglia protagonista?
Lisa Weber:
L’incontro con la famiglia è avvenuto per puro caso. Mi piace fare delle passeggiate in città, esplorare dei posti a me sconosciuti e parlare con chi incontro e ciò mi ha permesso di fare amicizia con Claudia, circa 10 anni fa. Tre anni fa poi l’idea di girare questo documentario cominciava a diventare sempre più concreta. Nel corso del tempo tuttavia la trama ha subito delle modifiche, visto che all’inizio Claudia, la giovane madre, all’inizio ci aveva riferito di voler fare domanda per entrare nelle Forze Armate. In principio il mio lavoro avrebbe dovuto seguirla nel percorso di preparazione e nei primi momenti della sua carriera, ma, dopo un po’, lei cambiò idea. Avevamo ormai già iniziato le riprese e per questo siamo semplicemente andati avanti, sebbene in diverse occasioni io abbia fatto fatica a trovare gli stimoli necessari. Anche perché sembrava che non stesse succedendo veramente nulla – fino a che non mi sono resa conto che la pellicola avrebbe riguardato proprio questo momento di stasi.

Sentiva la necessità di intervenire in una situazione in cui nulla sembrava muoversi? Ha cercato di agire per scatenare un qualche tipo di reazione?
Sì, sentivo effettivamente la necessità di farlo e, a dirla tutta, ho proposto ai protagonisti diverse attività. Quindi abbiamo girato alcune scene fuori dall’appartamento, ma c’era qualcosa che non andava. Mi ero resa conto che stavo costringendo i membri della famiglia a fare qualcosa con cui non si sentivano a proprio agio. È stato difficile rimanere a guardare come stessero sprecando ogni possibilità di portare a termine una qualche attività, ma ho imparato ad accettarlo.

Era la sua strategia a prevedere che la maggior parte delle scene fosse girata nell’appartamento?
In realtà mi sarebbe piaciuto girare anche fuori dall’appartamento; per esempio, per seguire la famiglia in uno dei loro appuntamenti ufficiali presso l’ufficio di assistenza sociale. Non volevano che io lo facessi. Sono stati molto chiari su ciò che avremmo potuto riprendere e su quando avremmo potuto farlo. Non solo non ci avevano dato il permesso di farlo, ma sarebbe stato anche difficile gestire il tutto. Nessuno di loro ha mai rispettato le scadenze. Per questo è capitato spesso che a distanza magari di sole due ore dall’incontro prefissato nessuno di loro sapesse se si sarebbero presentati o meno, indipendentemente da quanto fossero importanti quelle riprese.

Questa è stata la sfida più grande che ha dovuto affrontare durante le riprese?
Sì, in generale la comunicazione con la famiglia non è stata facilissima. Proprio come non rispettavano le scadenze, spesso ignoravano i nostri accordi e rimandavano gli incontri. Ogni tanto eravamo costretti ad aspettare settimane prima di poterli avere “tutti per noi”. Avevo la sensazione che si disinteressassero del progetto, ma ogni volta che riuscivamo finalmente a incontrarli e iniziavamo a lavorare, si comportavano come se nulla fosse accaduto e ci riservavano sempre una bella accoglienza. Ciò significa che in parte erano proprio loro a dettare i tempi di lavorazione del film. Anche il montaggio ha rappresentato un grosso ostacolo, visto che avevamo a disposizione 144 ore di filmato.

La famiglia ha visto il film? Come hanno reagito?
Quando lo hanno visto sono riusciti a riconoscersi. Temevo la loro reazione, ma hanno accettato il film come una sorta di capsula temporale. Mi dicono spesso che dovrei andare a trovarli per vedere quanto sia cambiata la loro vita, ma ormai sono anni che mi raccontano questa storia.

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(Tradotto dall'inglese da Emanuele Tranchetti)

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