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Francia / Svizzera

Christophe Blanc • Regista di Just Kids

"Una specie di melodramma per adolescenti"

di 

- Christophe Blanc parla del suo nuovo film, Just Kids, incentrato su due fratelli e una sorella alle prese con il lutto e la libertà, in uscita nei cinema francesi

Christophe Blanc  • Regista di Just Kids

Dopo Une femme d’extérieur (2000) e Blanc comme neige [+leggi anche:
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(2010), Christophe Blanc torna con Just Kids [+leggi anche:
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, un'esplorazione psicologicamente accurata e formalmente inventiva sulla traiettoria di due fratelli e una sorella in lutto e abbandonati a se stessi. Guidato da Blue Monday Productions, il lungometraggio è lanciato oggi in Francia da Rezo Films.

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Cineuropa: Che cosa l’ha attratta di questo soggetto?
Christophe Blanc:
È una storia piuttosto personale. Era da molto tempo che volevo fare un film sui bambini che si ritrovano abbandonati a se stessi dopo aver perso i genitori. Ho vissuto qualcosa di molto simile e mi ci è voluto del tempo per avere la forza e l'energia per farlo, e soprattutto per trovare l'angolo giusto e mantenere una certa distanza per non farmi intrappolare dalle emozioni. Ciò che è pura finzione è il fratello che non ho. Ho avuto l'idea di dividermi in due personaggi e raccontare la storia di un bambino di 10 anni che è in lutto e di un adolescente di 18-19 anni che non riesce ad accettare le circostanze della scomparsa di suo padre. Poi è nata l'idea che un adulto molto giovane si ritrovi responsabile di un bambino, il che non era il mio caso, anche se avevo mia sorella che era molto più giovane. Ho mescolato l'intimo e il reale con la pura finzione.

Il centro di gravità del film si sposta gradualmente da un fratello all’altro, con il più giovane che quasi diventa il personaggio principale.
Volevo che ci fosse questo capovolgimento nel rapporto. All'inizio del film, quello più grande, Jack, è molto concreto, vuole capire la sua storia e agisce in questo senso, mentre il piccolo Mathis rimane sullo sfondo, in una forma di stupore. C'è un punto di svolta, che nel film è il sogno e che porterà Jack in un mondo più fantastico, mentre il piccolo si emancipa attraverso la fotografia. Trovavo interessante mostrare come il più grande, che dovrebbe mostrare la strada e affrontare tutti i problemi, venga sopraffatto, mentre il piccolo che deve essere curato, trova da solo una via d'uscita, con la forza della sua curiosità e della vita che si crea.

Perché ha inserito l’elemento poliziesco nel film?
Esiste in effetti una forma di indagine, di ricerca del padre da parte del più grande. Non era necessario ai fini dell’efficacia narrativa, ma serviva piuttosto a raccontare questa ossessione. Senza rivelare quello che apprende, Jack va fino in fondo in questa indagine e le risposte che ottiene non sono mai soddisfacenti: c'è sempre una lacuna, una frustrazione, ed è per questo che lui scivola gradualmente nel mondo della fantasia. In effetti, i bambini non cercano la stessa cosa. Jack, il primogenito, guarda al passato, per scoprire cosa è successo, il piccolo abbraccia inconsapevolmente un mondo molto più creativo, più immaginario, e la sorella adotta un approccio totalmente opposto: volta le spalle al passato, non vuole più sentirne parlare. Seguo i tre percorsi di questi fratelli: di fronte allo stesso evento, reagiscono in modi diametralmente diversi.

Il tema del lutto definisce anche ciò che è una famiglia.
Il fatto che questi ragazzini si trovino senza adulti è come un'esplosione all'interno della famiglia allargata. C'era il desiderio di raccontare la storia dei fratelli, ma anche il difficile rapporto con una famiglia dove gli adulti possono fallire pur essendo presenti, come lo zio per esempio. Volevo anche fare una sorta di melodramma per adolescenti, ma non come siamo abituati a vederlo perché questi ragazzi non hanno una fascinazione particolare per la morte, non hanno un rapporto violento con il mondo: la tragedia si abbatte su di loro e sono costretti ad affrontarla.

Il film offre un'ampia varietà di scenari e situazioni.
Con un soggetto del genere, avremmo potuto fare un film essenziale, con un approccio realistico, camera in spalla. Ma non volevo fare un film psicologico, anche se c'è una parte mentale. Non volevo che la forma fosse troppo terra-terra, ma che rispondesse agli universi mentali che si possono avere. Certo, i personaggi sono attraversati da stati psicologici, ma hanno anche l'energia, la vitalità, l'appetito della giovinezza, e volevo che questo si riflettesse nella forma.

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(Tradotto dal francese)

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