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BIF&ST 2021

Marco Amenta • Regista di Tra le onde

“Il cinema è interessante perché è una finestra che ci fa entrare nella mente dei personaggi”

di 

- Il regista palermitano ci parla del suo nuovo film in concorso al 12° Bif&st di Bari in Anteprime italiane, un noir psicologico molto diverso da tutta la sua filmografia precedente

Marco Amenta  • Regista di Tra le onde
(© Bif&st)

Autore di diversi documentari impegnati (sulla mafia, sulla guerra in Bosnia, su Berlusconi) e di un film di finzione sulla testimone di giustizia Rita Atria, morta suicida a soli 17 anni, il regista e fotoreporter Marco Amenta, nato a Palermo e laureato in Cinematografia a Parigi, ha scelto con il suo secondo lungometraggio di finzione di cambiare nettamente strada. Tra le onde [+leggi anche:
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, in concorso al 12° Bif&st - Bari International Film Festival nella sezione Anteprime italiane, è un noir psicologico che vede i due personaggi principali, incarnati da Vincenzo Amato e Sveva Alviti, intraprendere un viaggio a bordo di un camion frigorifero (ma con un carico bollente), a metà tra realtà e sogno.

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Cineuropa: Come mai questa svolta, rispetto alla sua produzione precedente?
Marco Amenta: È un film diverso, però rientra in un percorso. Nasco dal realismo, sono stato fotoreporter di guerra, di situazioni di mafia, poi sono passato al documentario, prevalentemente su temi sociali, e poi al cinema. La siciliana ribelle era una storia di mafia realista, ma anche lì una parte importante era il percorso psicologico di quella ragazza. Per me il cinema è interessante perché è una finestra che ci fa entrare nella mente dei personaggi, nella loro interiorità. Nella vita reale non leggiamo la mente delle persone, non sappiamo il percorso che c’è dietro.

Qui si è spinto ancora più in là.
Questo film è ancora più psicologico. Salvo e Lea sono una coppia separata, ancora innamorata, hanno una relazione tumultuosa; si mettono in viaggio tra due isole, la Sicilia e la Sardegna, fra mare e terra, si scontrano e si rinnamorano, si confrontano con il loro passato. Ma è anche un viaggio psicologico quello che compiono. Ci sono due linee narrative: il viaggio al presente che è lineare, con la nave, le strade notturne, i paesaggi remoti e selvaggi; e il viaggio interiore, soprattutto nella mente di Salvo, che non è lineare, perché la mente fa avanti e indietro e prende le strade dell’inconscio, dell’allucinazione. È un percorso irregolare, pieno di buchi che lo spettatore deve riempire. È un film meno realista, che rimanda ad autori come Lynch, Tarkovsky, che avevano il coraggio di frammentare il racconto e non servire il piatto pronto.

È sicuramente il genere di film che va visto al cinema.
I film che frammentano il racconto mettono lo spettatore di fronte a un’opera meno facile da seguire, e che per questo va vista in sala, per immergersi in questo viaggio, costruito anche grazie alle immagini e al suono, cosa che in video o sulle piattaforme è più difficile fare. Ho lavorato molto anche sulla musica con Pasquale Catalano, una musica che è avvolgente e ogni tanto dissonante, con suoni distorti, rumori che evocano altre cose. In una sala cinematografica puoi usare il suono in maniera completa, così come l’immagine nella sua epicità. Non ci sono risposte univoche, in alcune scene la realtà si confonde con il sogno. È un cinema di ricerca, sempre più importante oggi per differenziare il cinema dalle piattaforme; è un’esperienza estetica, un cinema in cui ci si possa anche perdere. Per questo ho aspettato la fine del lockdown, non ho ceduto alla possibilità di uscire in piattaforma perché dobbiamo cercare di difendere il mezzo cinematografico.

In questa sua evoluzione non ha comunque rinunciato a un aggancio con un tema sociale forte.
È una storia d’amore, ma sullo sfondo c’è il viaggio di Salvo che vuole restituire il corpo di questo migrante, che non è riuscito a salvare, a sua moglie. Racconta il dramma di tantissimi migranti che muoiono nel Mediterraneo, che non sono pianti dai loro cari poiché spesso i loro corpi non vengono nemmeno ritrovati. Una tragedia del nostro secolo.

Sveva Alviti è più conosciuta in Francia che non da noi. Come l’ha scelta?
Sono molto legato alla Francia e conoscevo la sua bellissima interpretazione di Dalida. È un’attrice molto vera e fisica, metteva insieme drammaticità e leggerezza, una bellezza quasi infantile, una purezza e una genuinità che davano al personaggio la voglia di rimettersi in viaggio e ricominciare una storia d’amore. Con Vincenzo, anche lui un attore di pancia, li ho fatti provare molto, per non limitarli a uno spazio, sotto una luce e a un dialogo esatto. Certo, era tutto scritto, ma ho girato in maniera quasi documentaristica per farli entrare veramente nella parte, e insieme hanno trovato questa sintonia.

A che punto è con il suo nuovo progetto di finzione, Anna [+leggi anche:
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Sarà girato nel 2022, è una coproduzione con il produttore francese Antoine de Clermont-Tonnerre (Mact Productions), un progetto riconosciuto a livello europeo sia da Media sia da Eurimages, abbiamo il sostegno della regione Sardegna e siamo in attesa degli ultimi finanziamenti. Sto cercando la protagonista, è una storia su una donna forte. Sarà un film più realista, tornerò a una linearità di racconto, ma anche questo sarà un personaggio non convenzionale, sporco, pieno di difetti e particolarità, che però fa una grande battaglia.

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