Ilian Metev, Ivan Chertov e Zlatina Teneva • Registi di A Provincial Hospital
“Ci auguriamo che il nostro film offra una finestra unica e sorprendente su una realtà che sembrava così vicina eppure così lontana”
- I tre co-registi condividono alcune impressioni sulle riprese del loro documentario, che ritrae l'atmosfera che regnava in un piccolo ospedale bulgaro durante il picco della pandemia di COVID-19
Nel 2012, il regista bulgaro Ilian Metev ha fatto il suo debutto a Cannes con il film osservazionale Sofia's Last Ambulance [+leggi anche:
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scheda film], che seguiva una squadra di medici di prima necessità alle prese con il traffico e l'assistenza ai pazienti nella capitale bulgara e nei suoi dintorni. In A Provincial Hospital [+leggi anche:
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intervista: Ilian Metev, Ivan Chertov …
scheda film], attualmente in concorso a Karlovy Vary, ha collaborato con Ivan Chertov e Zlatina Teneva per osservare da vicino il lavoro del personale medico del reparto COVID-19 di una città di provincia bulgara.
Cineuropa: Come è nata l'idea di questa produzione finanziariamente rischiosa, che ha rappresentato anche una minaccia per la vostra salute?
Ilian Metev: È nata spontaneamente quando la pandemia in Bulgaria ha raggiunto il suo primo vero picco, nel novembre 2020. Sentivo che la gente aveva bisogno di vedere la realtà, cruda e senza fronzoli. È stata la mia compagna, Betina, a darmi la certezza che avremmo potuto fare qualcosa di diverso, con un approccio attento e osservativo. Poi sono intervenuti i coproduttori Martichka Bozhilova e Ingmar Trost, perché non c'era tempo da perdere. Il problema era che ero bloccato nel Regno Unito in isolamento, così ho discusso l'idea con la mia assistente Zlatina, che in quel momento si trovava in Bulgaria, e le ho chiesto se avrebbe collaborato come co-regista sul campo, tenendo conto dei rischi per la salute e del fatto che avrebbe avuto la libertà di abbandonare in qualsiasi momento. Appena Zlatina ha accettato, ho contattato Ivan con una proposta simile. Hanno iniziato a lavorare sul posto, mentre io lavoravo a distanza, e abbiamo discusso quotidianamente le esperienze e i piani per ogni giorno. Le riprese sono state difficili sotto molti punti di vista e abbiamo rischiato più volte di dover abbandonare il progetto. Zlatina e Ivan hanno dimostrato un livello esemplare di coraggio e di attenzione nei rapporti con i medici e i pazienti durante quel periodo.
Trovare i fondi è stata una sfida enorme e il film è stato in gran parte autofinanziato dai produttori, con la maggior parte di noi che ha lavorato gratuitamente. In Bulgaria non siamo riusciti a ottenere né il sostegno delle emittenti né quello del Film Fund. Considerando le nostre ambizioni e il nostro accesso, le ragioni di questa situazione sembravano poco chiare e c'era un senso di censura silente. Non potevamo aspettare oltre, così abbiamo terminato il film così come lo avevamo iniziato, con il prezioso aiuto di Europa Creativa - MEDIA, del laboratorio europeo Work in Progress e dei nostri colleghi Adrian Lo, Michael Kaczmarek, Ivan Andreev e Todor G Todorov.
Avete trascorso circa 70 giorni in ospedale e sembra che abbiate avuto pieno accesso a tutto. Come siete riusciti a ottenere questo risultato?
Zlatina Teneva: Siamo stati lì senza telecamera per un bel po' di tempo, cercando di conoscere i medici e i pazienti e imparando ad aiutarli in alcune attività di routine, come fare i test PCR, riempire d'acqua le bombole di ossigeno dei pazienti, preparare il carrello per le infermiere e così via. In un certo senso, siamo diventati parte della loro squadra. In primo luogo, però, è stato il direttore dell'ospedale, il dottor Velichkov, a sostenerci.
Affrontate il tema della mancanza di fiducia nelle istituzioni e nelle autorità nella società bulgara. Come vedete questa situazione?
I.M.: Ogni volta che entriamo in un ospedale, siamo in conflitto, proviamo contemporaneamente fiducia e sfiducia. Abbiamo dei dubbi sulle cure che riceveremo, ma poiché è in gioco la nostra vita, non abbiamo altro posto dove andare. La maggior parte dei bulgari sa che il sistema sanitario è sistematicamente sottofinanziato e con poco personale; ha sentito parlare di tragedie evitabili, quindi un certo livello di sfiducia è giustificato. Tuttavia, credo che dovremmo pensarci due volte prima di accusare alcune persone delle mancanze del sistema. Gli inservienti, gli infermieri e i medici che fanno turni ridicoli di oltre 12 ore in condizioni estreme, facendo il lavoro che nessuno vuole fare, non sono da colpevolizzare.
Pensate che sarebbe stato possibile girare il film in un Paese più regolamentato, dove le regole avrebbero dovuto essere rigorosamente seguite?
I.M.: Credo che in molti Paesi la questione dell'accesso non sarebbe stata l'ostacolo principale, perché molti medici, pazienti e familiari volevano che la realtà fosse vista, credo. Sono state realizzate anche produzioni televisive. Ciò che mi sorprende, però, è che ho visto meno di una manciata di documentari osservativi a lungo termine sull'argomento. Speriamo che il nostro film offra una finestra unica e sorprendente su una realtà che sembrava così vicina eppure così lontana.
(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)