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Italia

Fariborz Kamkari • Regista di Kurdbûn - Essere curdo

“Come ciascuno di noi reagisce all’esistenza di un sistema dittatoriale fa la differenza”

di 

- Cineuropa ha incontrato il regista curdo, il quale ci ha parlato del suo documentario sull’assedio di Cizre del 2016

Fariborz Kamkari • Regista di Kurdbûn - Essere curdo

Abbiamo intervistato Fariborz Kamkari, regista di Kurdbûn - Essere curdo [+leggi anche:
intervista: Fariborz Kamkari
scheda film
]
, un prezioso documentario che testimonia le atrocità dell’assedio di Cizre, nato dal materiale di repertorio girato dalla coraggiosa giornalista Berfin Kar e distribuito da Officine Ubu.

Cineuropa: Quando ha incominciato a lavorare sul film e com’è entrato in contatto con Berfin?
Fariborz Kamkari: Sono stato contattato all’inizio del 2019. Mi ha chiamato da Malta una persona, presentatosi come giornalista curda. Mi ha raccontato di essere stata presente per caso all’assedio di Cizre e di aver realizzato un diario visivo. Mi ha chiesto se fossi interessato a vedere del materiale per un eventuale documentario. Ovviamente, conoscevo i fatti tramite le notizie, ma mi sono incuriosito e ho chiesto di inviarmi qualcosa. La giornalista, tra l’altro, mi contattava da un ospedale psichiatrico ed era in cura lì da un po’. Mi ha mandato un file di mezz’ora. Ho visto circa dieci minuti e l’ho subito contattata dicendole che il materiale era molto interessante e chiedendole di mandarmi il resto. Ho ricevuto circa 50 ore, girate col suo cameraman. È stato un approccio abbastanza istintivo. Mi ha ricordato lo stesso episodio vissuto tantissimi anni prima in Iran, quand’ero bambino. Sono stato anch’io in una città assediata per oltre 40 giorni con la mia famiglia, sotto i bombardamenti. Sono originario della parte orientale del Kurdistan. Mi ha colpito tantissimo questa somiglianza. Ho subito immaginato come impostare il documentario: testimoniare l’episodio di Cizre ma anche offrire una visione più ampia e raccontare la resistenza curda. [..] Il montaggio è stato abbastanza veloce. Ho fatto venire la giornalista in Italia. Abbiamo lavorato insieme per un po’. Ad un certo punto, quando è stata denunciata dallo stato turco per la sua attività giornalistica ha deciso di tornare, nonostante i rischi. Diceva: “Se mi condannano non potrò più tornare. Vado a difendermi.” È molto probabile che verrà condannata. Ha preferito restare. Così, sono rimasto da solo a montare il film e l’ho completato circa sei mesi fa.

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Quindi ora Berfin sta affrontando il processo...
Sì, le abbiamo dato un nome d’arte per proteggerla. Ha fatto semplicemente il suo lavoro di giornalista. Questo è stato considerato un atto ostile da parte del governo. I filmati parlano, però.

Perché è importante parlare agli spettatori partendo dal tema dell’identità?
Si tratta di un tema cruciale. Fa riferimento ad un popolo che esattamente 99 anni fa fu diviso in quattro parti, a seguito del trattato di Losanna. Abbiamo una storia lunga, sanguinosa, molto dolorosa ed un’identità negata per quasi 100 anni. La prima volta che il popolo curdo ha fatto resistenza è stata concepita come atto di salvaguardia della sua identità, della sua lingua. Difatti, la lotta armata è sempre stata uno dei primi principi del movimento curdo per mantenerla. Questo [concetto] viene sviluppato attraverso il film.

Verso la fine, viene citato il testo di Antonio Gramsci sull’indifferenza, tratto da La città futura. Il riferimento è quanto mai attuale, soprattutto alla luce di ciò che è successo tra Svezia, Finlandia e Turchia… Secondo lei perché continua ad accadere tutto questo nell’indifferenza generale della comunità internazionale?
La responsabilità individuale è una tematica che ho sempre cercato di seguire nei miei film e nei miei libri, da persona che ha vissuto quasi tutta la sua infanzia ed adolescenza in guerra. Come ciascuno di noi reagisce all’esistenza di un sistema dittatoriale fa la differenza. [..] Il testo di Gramsci è il manifesto assoluto di ciò che penso ed era perfetto da utilizzare in quel momento, poiché lì vediamo persone che sacrificano la loro vita ed altre che restano indifferenti alla tragedia. Quello che è successo tra Svezia, Finlandia e Turchia è un episodio estremamente agghiacciante. Siamo abituati alla Turchia che interviene sulle questioni curde in modo molto aggressivo. Questa volta è scioccante perché sta intervenendo nella vita politica interna di un paese democratico. La Turchia chiede di estradare queste persone, cittadini ormai europei. A me sembra sconcertante. Sta obbligando un paese democratico a cancellare i diritti dei propri cittadini. [..] Tra l’altro, alcune di queste persone sono deputati, eletti dal popolo. Purtroppo il sistema mondiale è basato sul capitalismo e sull’interesse, i quali rendono l’Occidente non solo indifferente ma spesso complice. Questa parte del mondo è stata disegnata dai colonialisti alla fine della prima guerra mondiale. Questo disegno è stato creato e sostenuto dall’Occidente. Sono complici, nonostante le belle parole sul rispetto dei diritti umani, sulla democrazia... [..] Vendere armi allo stato turco sapendo che vengono utilizzate nei villaggi e nei campi profughi, è un atto di complicità. Questo deve cambiare. Arriverà il momento in cui questa ipocrisia occidentale avrà fine.

Come vi siete mossi per la distribuzione?
Abbiamo distribuito il film in Italia, Francia e Svizzera. Stiamo lavorando per farlo uscire in altri territori. La formula che abbiamo scelto in Italia non è tradizionale. Non l’abbiamo fatto uscire in 20, 30 o 50 copie in un weekend per poi sparire. Abbiamo organizzato, invece, delle proiezioni evento di città in città, facendo un tam-tam tramite associazioni, organizzazioni e gruppi locali. Devo dire che ha funzionato. Da oltre due mesi seguiamo questa linea. Quando posso seguo il film e creiamo dibattito con il pubblico. Da settembre lo presenteremo in altre città italiane, grandi e piccole.

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