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Francia / Belgio

Jean Libon e Yves Hinant • Registi di Poulet Frites

"Tempo e fiducia sono elementi chiave per catturare la realtà"

di 

- Abbiamo incontrato i registi belgi cinque anni dopo il successo di Ni juge ni soumise per parlare del loro ultimo film, in uscita domani in Belgio

Jean Libon e Yves Hinant • Registi di Poulet Frites
Jean Libon (a sinistra) e Yves Hinant (a destra) (© Cédric Gerbehaye)

Abbiamo incontrato i registi belgi Jean Libon e Yves Hinant per parlare del loro ultimo film, For a Fistful of Fries [+leggi anche:
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, in uscita in Belgio il 19 novembre. Tornano cinque anni dopo il successo di So Help Me God [+leggi anche:
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sotto forma di una nuova iterazione di Striptease in stile poliziesco, con un fertile trio cinematografico: un poliziotto, un giudice e un assassino.

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Cineuropa: Come mai avete deciso di rielaborare un materiale cinematografico preesistente per realizzare un nuovo film?
Yves Hinant: Non appena usciti dal primo lockdown, i nostri produttori ci hanno suggerito di pensare a un nuovo film, dopo il successo di So Help Me God. In quel momento, girare un documentario non sembrava un’opzione possibile, dato che tutti indossavano una mascherina. Jean ha ripensato a quel film, realizzato una ventina di anni prima, che non aveva avuto molto successo. Abbiamo pensato di poterlo rielaborare, trasformandolo in un vero e proprio giallo. Per miracolo, sono riuscito a reperire tutti gli spezzoni del film di allora e Jean ha passato quattro mesi a montare il tutto.

Come avete scelto l'ambientazione e i personaggi all’epoca?
Jean Libon: Ricordo di aver detto a Yves: "E se facessimo un vero film poliziesco?". Così si è messo alla ricerca, ma ci sono voluti quasi due anni solo per ottenere l’autorizzazione istituzionale necessaria. Poi abbiamo fatto un casting per trovare il giudice e il poliziotto, il che ha richiesto un altro anno, e poi ci sono voluti anche i provini. Ci è voluto molto tempo in realtà. Avevamo i nostri personaggi, ma non stava succedendo niente. Un lunedì, Yves arriva in ufficio, distrutto, dicendo: "Non ce la faccio più, non funziona niente". E io gli ho risposto: "Dai, ancora una settimana". Tre giorni dopo, avevamo il nostro cadavere e siamo partiti. Ma devo ammettere che siamo quasi arrivati ​​al punto in cui ho pensato: "Bene, credo che dovremo trovare un cadavere da soli".

Originariamente doveva essere una serie di 3x50 minuti, ma c'era la possibilità di realizzare qualcosa di più corto, sotto forma di film poliziesco. Abbiamo deciso di farlo in bianco e nero. Ovviamente, non si può fare un film noir a colori. È comunque diverso vedere il volto del nostro poliziotto, Jean-Michel, in bianco e nero e ad alto contrasto su uno schermo di 50 metri quadrati. Questo suscita un altro livello di emozioni.

Che tipo di piano avete messo in atto durante le riprese?
Y.H.: Anche se si tratta della vita reale, orchestriamo un po’ le cose. Ho fatto dei provini per gli agenti di polizia e alla fine ho trovato Jean-Michel. Avevo in mente un’altra persona per il giudice, ma era stata nominata alla Corte di Giustizia Europea, ed è stata lei a indirizzarmi verso Anne Gruwez. In realtà l'avevo già vista, infatti andavo spesso a vedere cosa succedeva nel suo ufficio. Con loro due, avevo una coppia formidabile. Ci siamo assicurati che fossero in servizio insieme. E abbiamo aspettato un anno. Eravamo in tre: un cameraman, un fonico e il sottoscritto; finché poi non abbiamo trovato il nostro cadavere e il nostro assassino. Infine, il nostro sospettato. Quando ho incontrato Alain, un ragazzo che tutti ritengono colpevole, sono rimasto sorpreso che abbia accettato di farsi filmare. Avevamo la sensazione che, nonostante tutte le prove, rimanesse ancora una sorta di dubbio.

Il fattore tempo è determinante sul set e in sala di montaggio?
J.L.: Le cose accadono solo una volta, e bisogna essere presenti e pronti. Ho sempre detto ai miei cameramen: filmate i vostri piedi mentre aspettate, non mi interessa, ma quando succede qualcosa, dovete catturarlo! Ci vuole del tempo, ma è piuttosto semplice. Il montaggio viene poi seguito dal processo tecnico.

Y.H.: Sul set, io sono più un assistente alla regia che un regista. Non sono necessariamente coinvolto fisicamente nelle singole scene e spesso il tutto è angusto o teso; ma il cameraman e il fonico sanno benissimo cosa devono fare. La cosa più importante è prepararsi a ciò che accadrà, aver individuato bene i personaggi, conoscere le persone e rispettarle, per poi guadagnare la loro fiducia.

J.L.: Il tempo è l'elemento chiave. Dico sempre che il film ha tanto più successo quando il cestino è bello pieno. Bisogna scartare delle cose, più e più volte. Ma è un po' complicato far capire questo ai finanziatori.

(Tradotto dal francese da Rachele Manna)

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