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BLACK NIGHTS 2022 Concorso Opere prime

Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez • Registi di Upon Entry

"Abbiamo cercato di rendere il film il più organico possibile, facendolo crescere da qualcosa all'interno dei personaggi"

di 

- I registi venezuelani residenti in Spagna incanalano nel loro dramma intimo le paure di molti migranti

Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez • Registi di Upon Entry

Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez, residenti a Barcellona, hanno presentato il loro debutto alla regia al Concorso opere prime del Festival Black Nights di Tallinn, dove hanno ricevuto il Premio FIPRESCI. Upon Entry [+leggi anche:
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intervista: Alejandro Rojas e Juan Seb…
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ricostruisce l'interrogatorio di una coppia all'ufficio immigrazione statunitense di un aeroporto di New York. Abbiamo incontrato i registi, che hanno parlato della loro personale esperienza di migrazione e di come sia stata una grande ispirazione per il loro film.

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Cineuropa: Perché avete voluto raccontare questa storia?
Juan Sebastián Vásquez:
Avevamo in mente altre storie simili quando abbiamo iniziato a parlare di questo progetto. Tutte erano legate a diverse questioni relative al processo di migrazione e alla potenza di questo evento nella vita di una persona. Volevamo fare un film che mostrasse il potere assoluto che una persona ha quando mette in discussione la decisione di una o due persone di migrare, magari principalmente a causa di cose relative alle tue origini, al tuo orientamento sessuale o al colore della tua pelle. Le vite possono essere distrutte. Non volevamo fare un film che mostrasse solo il processo di immigrazione, volevamo anche mostrare le sue ricadute emotive.

Alejandro Rojas: È una storia personale, in un certo senso. Perché veniamo entrambi dal Venezuela. Si basa su cose che abbiamo vissuto noi stessi, in modi simili. O su storie di persone che conosciamo.

È stato difficile raccogliere le esperienze di altre persone e trovare altri esempi?
J.S.V.: Purtroppo, è stato davvero facile portare alla luce queste storie. Molte cose erano già successe a noi. Il film mostra cosa succede a questa coppia quando arriva negli Stati Uniti, ma rispecchia anche ciò che hanno vissuto molti latinoamericani che vivono in Spagna. Successivamente Elena inizia a capire il privilegio che ha avuto fino a quel momento, come spagnola in Spagna. È una storia universale sulle persone del Sud America e sulla loro paura di attraversare un confine. Quando abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura e ne abbiamo parlato alla gente, molti hanno condiviso con noi questi sentimenti. Passare la dogana, attraversare le frontiere, andare alla polizia... Per molte persone è un incubo.

A.R.: Purtroppo, molte di queste storie non vengono raccontate. Anche perché ci abituiamo. Molte di queste cose accadono continuamente, in misura minore o maggiore. E niente di tutto ciò può essere considerato più o meno violento: è tutto violento. Perché quello che fanno è infliggere un livello di violenza verbale che è dura quanto qualsiasi altra cosa. E le persone si abituano. Non succede solo negli Stati Uniti. Abbiamo ambientato il film lì perché siamo stati entrambi in una delle loro dogane. Ma succede ovunque. E tutto si ricollega alla stessa domanda: ovvero, da dove vieni? Possiedi un passaporto discutibile, ai loro occhi?

Avete parlato anche con gli ufficiali dell'immigrazione?
J.S.V.: La nostra attrice, Laura Gomez, che interpreta l'ufficiale, ha un cugino che è un ufficiale dell'immigrazione. È stato davvero interessante per lei, acquisire informazioni sul lavoro. Molte delle informazioni di cui avevamo bisogno erano già disponibili. Ci sono molti programmi TV che descrivono la vita quotidiana di questi ufficiali. Ci sono molti documentari, è facile accedere alle informazioni. Mostrano il potere che hanno questi ufficiali. Vedi le varie questioni relative al razzismo. È orribile e doloroso da guardare, ancora di più se consideri che stai guardando una versione annacquata e che i casi peggiori non vengono mostrati. È difficile da digerire e vedere che l'Europa e gli Stati Uniti sorvolano sul fatto che sono anche responsabili della situazione in cui si trovano le persone di determinati paesi e delle ragioni per cui queste persone vogliono migrare. È davvero triste vedere queste persone individuate come il problema.

Vi siete ispirati a qualche regista specifico per quanto riguarda il concept visivo del vostro film?
A.R.
: Sidney Lumet e il suo lavoro sono una grande fonte d'ispirazione. È il modo in cui crea scene che sembrano così semplici che è affascinante. Va sempre dritto al punto, ti fa sentire i personaggi. Abbiamo cercato di rendere il film il più organico possibile, di farlo crescere da qualcosa all'interno dei personaggi.

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(Tradotto dall'inglese)

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