Guido van der Werve • Regista di The Breath of Life
“Il cinema è una soluzione a ciò che voglio fare, ovvero toccare le persone”
di Teresa Vena
- Abbiamo parlato con il regista olandese del suo intimo autoritratto, in cui elabora una drammatica esperienza di vita
Il regista olandese Guido van der Werve ha presentato il suo documentario autobiografico The Breath of Life [+leggi anche:
trailer
intervista: Guido van der Werve
scheda film] in anteprima mondiale nel Concorso Tiger dell'IFFR. Abbiamo parlato con lui del suo incidente in bicicletta che ha cambiato la sua vita, gli ha permesso di elaborare i traumi del passato e, allo stesso tempo, gli ha permesso di abbracciare il futuro. Il regista ci ha anche raccontato di come abbia cercato un approccio più universale al tema, con cui il pubblico potesse relazionarsi.
Cineuropa: Puoi spiegare il titolo olandese del film, Nummer achttien ("Numero 18")?
Guido van der Werve: Ha un significato molto semplice: questo è il 18° film che ho realizzato. Ho iniziato a numerare le mie opere quando ho realizzato il mio film di laurea. Sono sempre stato interessato alla matematica. Il titolo non è quindi così importante; di solito è il sottotesto che conta di più.
Perché hai voluto fare questo film? Ti ha aiutato a elaborare ciò che hai vissuto?
Tengo sempre il mio lavoro molto vicino a me stesso: di solito i miei film sono uno specchio di me stesso. Dopo l'incidente, quando ho ripreso conoscenza, mi sono chiesto cosa avrei potuto fare in futuro. Le persone che mi conoscevano, anche nella mia cerchia professionale, continuavano a farmi domande sull'accaduto. Così mi è venuta la voglia di fare un film, piuttosto che essere costretto a raccontare sempre la stessa storia. Durante la riabilitazione mi sono anche reso conto della portata di ciò che era successo. I medici mi hanno detto che dovevo essere molto felice di essere sopravvissuto, perché il 99% delle persone sarebbe morto in un incidente del genere. Il mio cameraman ha iniziato a venire al centro di riabilitazione, alla fine del 2016, e abbiamo iniziato a documentare tutto. Mentre pensavo alla mia vita in questa situazione, mi sono tornati in mente molti momenti della mia infanzia. Allora mi sono reso conto che nel corso della mia vita ho avuto molte compensazioni eccessive a causa di qualcosa che definirei un complesso di inferiorità. Nel film ho elaborato i miei traumi d'infanzia.
Utilizzi diversi tipi di immagini: documentarie, scene rievocate e materiale d'archivio. Quali sono stati gli aspetti più importanti del concetto?
Quando mio padre è morto, dieci anni fa, ha lasciato un grande archivio di filmati. Aveva girato molti video. Guardandoli, mi sono reso conto che c'erano molti parallelismi tra la sua vita e la mia. Era un pittore, ma non aveva mai esposto le sue opere, lavorava come insegnante di disegno. Forse anche lui si sentiva un emarginato. Includere questo archivio mi ha permesso di rendere visibili questi parallelismi. Gli occhi di mio padre sono i video in 8 mm, mentre i miei quelli realizzati con le nuove tecniche. Con le nuove immagini di me stesso e le nuove scene, ho potuto inoltre tracciare un parallelo tra la mia prima vita, quella precedente all'incidente, e la mia seconda vita, iniziata dopo l'incidente.
Non è stato difficile scavare così a fondo nelle tue emozioni private e poi scegliere quanto mostrare nel film?
Come artista, sono naturalmente egocentrico. E l'aver affrontato la riabilitazione, durante la quale tutto e tutti erano concentrati su di me, non aiuta. Inoltre, il cast è formato da me stesso e dalla mia famiglia. Ma dal momento in cui abbiamo ottenuto una sovvenzione per la produzione dai Paesi Bassi, è stato molto importante pensare attentamente alla prospettiva del pubblico: cosa sarebbe stato necessario per far sì che il pubblico si relazionasse con il film? Lavorare con un produttore è stato molto utile. Ho dovuto eliminare un sacco di personaggi. Per me è stato difficile dare il giusto peso ad alcuni dettagli, ma il mio produttore continuava a chiedermi perché volessi mostrare determinate cose. Abbiamo discusso molto.
È stato difficile convincere la tua famiglia a partecipare al progetto?
Sono abituati a me e alle mie idee, a volte folli. Avevo molto "credito", dopo essere sopravvissuta all'incidente. L'importante era che mia madre leggesse la sceneggiatura, perché la persona che la interpreta non dice solo cose belle. Ma mia madre è realista e alla fine mi ha dato tutta la libertà di cui avevo bisogno.
Qual è, secondo te, la ragione per cui fai cinema?
Fin dall'inizio, la musica è stata la forma d'arte che mi ha toccato più direttamente. Anche se mio padre era appassionato di arte visiva, non aveva lo stesso impatto su di me. Poi ho sperimentato con il cinema e ho scoperto che avrebbe potuto essere la forma d'arte giusta per me. Il cinema è una soluzione a ciò che voglio fare, cioè toccare le persone.
(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)
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