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BERLINALE 2023 Encounters

Ayşe Polat • Regista di In The Blind Spot

“Questa storia crudele, che non è stata elaborata, ha partorito fantasmi per generazioni”

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- BERLINALE 2023: Abbiamo parlato con la regista curdo-tedesca del trauma tramandato da generazioni e della sua omissione nella vita di tutti i giorni

Ayşe Polat • Regista di In The Blind Spot

Quando una troupe di documentaristi tedeschi si reca nella Turchia orientale per girare il ritratto di una donna curda in lutto per il figlio scomparso, all'inizio tutto sembra andare bene. Ma ben presto si verificano alcuni strani avvenimenti che coinvolgono la troupe e gli abitanti della città. Qualcuno li osserva, i video di sorveglianza vengono inviati come avvertimento, le persone scompaiono. In un luogo in cui il conflitto tra turchi e curdi ribolle ancora sotto la superficie, chiunque ficchi il naso oltre questa coltre di silenzio è considerato una minaccia. La regista curdo-tedesca Ayşe Polat cerca di svelare alcuni di questi traumi generazionali in In the Blind Spot [+leggi anche:
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intervista: Ayşe Polat
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, il suo film presentato in anteprima nella sezione Encounters della Berlinale. Che effetto ha su una comunità l’ignorare un conflitto e un genocidio per cos’ tanto tempo?

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Cineuropa: Il film si intitola In the Blind Spot. Non si riferisce solo ai curdi in Turchia, ma anche alla narrazione legata a quella situazione. Cosa è venuto prima, la struttura narrativa o il titolo?
Ayşe Polat: La narrazione è nata molto prima. In the Blind Spot è il terzo film di una trilogia. I primi due film sono stati il documentario The Others [+leggi anche:
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e il lungometraggio The Heiress. Sono stati tutti girati nel nord-est della Turchia e utilizzano prospettive diverse.

Finora ha sempre girato i suoi film dalla prospettiva dei turchi tedeschi. Ora, per la prima volta, i turchi locali sono al centro del suo film. È una storia che ha capito di poter raccontare da sola o ha deciso di fare prima una ricerca nella regione?
L'idea del film è nata durante il documentario sul genocidio degli armeni nella parte curda della Turchia. Una persona  ci ha raccontato di queste persone scomparse che sono state rapite negli anni '90. L'ha raccontato con una tale intimità che mi ha davvero toccato. Mentre il film si sviluppava, mi è stato chiaro che non volevo mostrare solo il lato delle vittime, ma anche quello dei carnefici. È una storia così traumatica che ha lasciato segni orribili nelle vittime e perseguita  in modo completamente diverso i responsabili.

Di solito si parla di genocidio solo mentre sta avvenendo. In qualsiasi altro momento, è letteralmente un “blind spot”, un punto cieco.
Esattamente, e questo solleva la questione di come una società dovrebbe affrontarlo. Il film inizia dal punto di vista occidentale, quello dei documentaristi tedeschi. È un po' un'inquadramento postcoloniale perché sottovaluta certe cose. Le persone che hanno radici curde e turche, invece, portano dentro sé stessi questa storia. È la storia dei loro genitori, dei loro nonni. Questo sarebbe un compito che la Germania e l'Europa in generale dovrebbero assumersi, senza distogliere lo sguardo.

Nel film si gioca anche con il soprannaturale.
Penso che i film di genere siano eccitanti e la trama si è sviluppata in questo modo. Il film sostiene che questo punto cieco in cui si trova la crudeltà degli avvenimenti storici, che non è stata elaborata dalla gente, ha dato origine a fantasmi nel corso delle generazioni. Questi fantasmi prendono vita e causano problemi per farsi finalmente ascoltare. Per essere chiamati con un nome. Ogni atto di crudeltà lascia tracce che prima o poi torneranno.

Qual è, secondo lei, il problema principale di quella regione?
Nel mio film non mostro la realtà politica della Turchia. Ma per me il trauma transgenerazionale è un tema centrale. Le tracce che lascia e il modo in cui le persone lo affrontano. Ho l'impressione che la maggior parte delle nazioni sia costruita sul lutto e sul genocidio. È una cosa universale, in un certo senso. Spero che la gente veda il film come qualcosa che può accadere ovunque, non solo in Turchia.

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(Tradotto dall'inglese)

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