email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

CANNES 2023 Quinzaine des Cinéastes

Pierre Creton • Regista di Un prince

"Il filo conduttore sono gli incontri"

di 

- CANNES 2023: Il regista francese decifra il suo approccio molto singolare all'incrocio tra finzione e vita, alimentato dalla propria esperienza di giardiniere

Pierre Creton • Regista di Un prince
(©P.C.)

Pierre Creton, che gira film da quasi vent’anni lavorando allo stesso tempo come bracciante agricolo e ora come giardiniere, ha presentato il suo quinto lungometraggio, Un prince [+leggi anche:
recensione
intervista: Pierre Creton
scheda film
]
, alla 55ma Quinzaine des Cinéastes (nell’ambito del 76° Festival di Cannes).

Cineuropa: Da dove nasce l'idea del film e del suo protagonista, che inizia un apprendistato in orticoltura?
Pierre Creton: Ho cominciato a scrivere al momento del lockdown, quando mi sono ritrovato con il mio amico Vincent Barré e con Mohamed Samoura, un uomo che abbiamo accolto per due anni e che stava facendo l'apprendistato come panettiere. Abbiamo seguito da vicino i suoi progressi, e questo mi ha riportato al mio apprendistato e ai miei ricordi di adolescente.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Come ha lavorato alla sceneggiatura, che è allo stesso tempo molto diretta e molto letteraria?
È un po' il mio modo di scrivere. Non comincio mai da una sceneggiatura pura, ma si tratta sempre di un processo piuttosto letterario, perché nasce dal mio amore per la scrittura piuttosto che dal desiderio di scrivere un film. Poi ho chiamato i miei cari amici Mathilde Girard, Cyril Neyrat e Vincent Barré, che hanno assunto la voce di un personaggio ciascuno. La prima stesura consisteva in tre monologhi, quelli di Pierre-Joseph, Françoise e Alberto. A partire da questi, ho immaginato delle sequenze. Il filo conduttore sono gli incontri, perché determinano ciò che accade a una persona. È anche ciò che ha plasmato il mio cinema, perché i miei film nascono quasi sempre da un incontro. Non ho mai un vero e proprio soggetto, è l'incontro che porta al desiderio di filmare sia quell'incontro che ciò che produrrà. In Un prince sono tornato ai primi incontri, che in un certo senso sono stati quasi delle adozioni.

Come riesce a coniugare il suo stile (pazienza, penetrazione di qualcosa di invisibile) con i tempi di ripresa molto brevi (17 giorni per questo film)?
Io giro nei luoghi in cui vivo, quindi tutte le location del film erano state individuate da tempo. Per questo film, in particolare, si tratta delle case e dei giardini dei clienti per i quali lavoro come giardiniere. Questo mi permette di conoscere le luci, di avere il tempo di valutare le cose prima di arrivare con la macchina da presa.

Questa "osservazione diretta di paesaggi e persone" che lei rivendica è vicina al documentario, senza esserlo. Dov’è esattamente il confine?
È estremamente poroso. È sulla soglia tra fiction e documentario che mi piace stare, come una sorta di funambolo. È tutto molto intrecciato. Finora ho avuto la tendenza a integrare un filo immaginario in situazioni reali, quasi documentaristiche. Ma per Un prince ho seguito un filo completamente immaginario.

Il film evoca fugacemente lo scrittore Novalis, che ben si adatta a questo intreccio di scritture diverse, a questa forma frammentata intorno a un filo conduttore.
Lo cito come lettura della post-adolescenza ed è vero che è stato importante sia per la forma frammentaria che per il rapporto con la natura. Ma se dovessi identificare una forma di scrittura, mi sento molto vicino a L’impossibile di Georges Bataille, che mescola il diario, la poesia, l'autobiografia e il romanzo. Il film si inserisce in questo filone.

Come percepisce la sua singolarità come regista?
Ne sono consapevole da quando ho iniziato a fare film, ma non è qualcosa di costruito. È un'esperienza sempre nuova, perché è sempre legata all'incontro: c'è sempre l'altro e gli altri. Le persone che filmo e che diventano personaggi, e che spesso sono amici, sono anche le persone che voglio filmare: non sono personaggi completamente inventati, voglio che siano presenti nel film come persone.

La natura è ovviamente sempre al centro del suo lavoro.
È qualcosa di piuttosto difficile da vivere quotidianamente perché la natura è bistrattata e quando si vive in campagna, giorno per giorno, è un po' doloroso; è una sofferenza quando la si ama, anche se non è questo il soggetto del film. Ma allo stesso tempo, la meraviglia ritorna sempre, alla prima primula o alla prima orchidea. È una sorta di gioia che si ripete e ci impedisce di sprofondare nella disperazione più profonda.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dal francese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Leggi anche

Privacy Policy