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CANNES 2023 Quinzaine des Cinéastes

Rosine Mbakam • Regista di Mambar Pierrette

"Il documentario mi ha aiutato a capire il modo in cui volevo fare finzione"

di 

- CANNES 2023: La regista camerunense residente in Belgio parla della sua immersione nella vita quotidiana di una lavoratrice e madre di famiglia che prende in mano il proprio destino

Rosine Mbakam  • Regista di Mambar Pierrette

Rosine Mbakam è nota per i suoi documentari intensi e incisivi, che spesso dipingono potenti ritratti di donne, come Chez Jolie Coiffure e Les Prières de Delphine. Quest'anno è presente alla Quinzaine des Cinéastes con Mambar Pierrette [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Rosine Mbakam
scheda film
]
, un film di finzione basato sulla vita reale di sua cugina, una sarta che affronta valorosamente la pioggia e le inondazioni nel suo laboratorio di Douala.

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Cineuropa: Conosciamo i suoi film precedenti, che sono ritratti di donne classificati come documentari. Mambar Pierrette è una storia scritta, con elementi di finzione. In che modo questo nuovo film ha arricchito il suo lavoro e il suo pensiero?
Rosine Mbakam:
Quando ho iniziato a voler fare film, avevo in mente la fiction. Alla scuola di cinema ho scoperto il documentario creativo. Il documentario è stato uno strumento che mi ha permesso di affrontare la mia timidezza nei riguardi della regia, di essere autonoma e di fare le cose da sola. Il documentario mi ha anche permesso di cercare il mio cinema, di capire come volevo fare i film di finzione. Con Mambar Pierrette, volevo tornare a quel primo desiderio di fiction. È stata la mia famiglia a dare il via ai miei primi desideri di fiction. Io e mia cugina Pierrette ci sentivamo spesso su WhatsApp e parlavamo della nostra vita quotidiana. Volevo mettere in discussione alcune questioni urgenti che condividevo con lei, domande sul lavoro, sulla disoccupazione, sui figli e sull'istruzione. Ho attinto ai nostri scambi per scrivere questa storia, basata sulla sua realtà e sulla sua esperienza.

C'è anche una particolare attenzione alla gestualità del lavoro e ai suoi tempi.
È una cosa che ho ereditato da mio padre. Mi diceva sempre: "Qualsiasi cosa tu faccia, prenditi il tempo per farla bene". Trovo che nel cinema il tempo del lavoro sia sempre eliso. Per Pierrette, cucire non è solo un lavoro, è molto di più. È una passione. È il suo sostentamento. Fare un vestito aiuta a pagare l'istruzione dei bambini, a mangiare, a pagare l'elettricità, a soddisfare le necessità quotidiane. Non si tratta solo di fare un vestito. Volevo mostrare il tempo che vi dedica, farlo sentire.

Dice che per lei il cinema è un rapporto di potere, quindi è importante trovare un equilibrio con i suoi protagonisti.
Il cinema è essenzialmente un'arte di potere. Quando si impugna una cinepresa, si scrutano volti e corpi, senza che la persona ripresa possa vedere o anche solo capire, questo è di per sé un rapporto di potere. Questo potere viene usato consciamente o inconsciamente da alcuni registi per mettere le persone al posto che fa loro comodo per raccontare la loro storia.

Sono molto vigile su questo rapporto di potere, perché so che è riuscito a confinare la storia dell'Africa e l'immagine dei neri. Sono attenta a non riprodurre questa dinamica. È importante che le persone che filmo siano libere di essere ciò che vogliono o possono essere al di là delle mie intenzioni. E voglio condividere questo potere nei miei film, lascio spazio alle persone per prendere in mano la storia e avvicinarla il più possibile alla loro realtà. È quello che ha fatto Pierrette. Io le dicevo cosa volevo fare e lei a volte mi diceva che voleva farlo in modo diverso, perché così si sentiva a suo agio. Prendeva l'idea principale e la infondeva con le sue conoscenze. Riportava a sé ciò che avevo scritto nella finzione e lo caricava della sua realtà.

Lei produce i suoi film: è essenziale per realizzare i film che desidera?
Vedevo che qui in Europa i produttori avevano un'idea molto precisa di come avrei dovuto filmare la mia realtà, spesso senza ascoltarmi. Io cercavo il mio cinema e non mi vedevo a lottare per educare la gente a quello che volevo fare. Dovevo già lottare per far accettare i film alle commissioni, e non volevo lottare anche con i produttori. Il regista etiope Haile Gerima dice: "Devi creare il tuo spazio di libertà, perché quando l'industria ti ignorerà e non ti riconoscerà più, avrai ancora quello spazio per continuare a esprimerti". Tândor Productions è il mio spazio di libertà, che mi ha permesso di realizzare i miei primi film con niente. Mi permette di preservare la mia visione, i miei pensieri, ma anche l'unicità delle persone che filmo. Non voglio essere incasellata dall'industria, da un metodo di produzione che inquadra, limita e blocca.

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(Tradotto dal francese)

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