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KARLOVY VARY 2023 Proiezioni speciali

Jean-Gabriel Périot • Regista di Se souvenir d'une ville

"Avevo bisogno di capire come, in certe situazioni, il cinema possa salvare delle vite"

di 

- L'ultimo documentario del regista è dedicato a coloro che hanno avuto il coraggio di usare la telecamera per documentare gli orrori della guerra

Jean-Gabriel Périot  • Regista di Se souvenir d'une ville
(© Manfred Werner)

Abbiamo parlato con il documentarista francese Jean-Gabriel Périot del suo ultimo lungometraggio, Se souvenir d'une ville [+leggi anche:
recensione
intervista: Jean-Gabriel Périot
scheda film
]
), una proiezione speciale al Festival di Karlovy Vary che ci porta nel cuore dell'assedio di Sarajevo.

Cineuropa: Come ha scoperto i film sull'assedio di Sarajevo utilizzati nel suo documentario?
Jean-Gabriel Périot: Stavo facendo una ricerca approfondita sulla storia della città di Sarajevo e quando sono arrivato all'epoca dell'assedio c'era ovviamente molto materiale. Tra questi film c'erano alcuni cortometraggi che hanno attirato la mia attenzione, in particolare I Burnt My Legs di Srdjan Vuletic e The Trail of Life di Dino Mustafic. Questi film mi hanno talmente colpito che ho iniziato a interessarmi alle biografie dei registi. Mi sono reso conto che i film che mi avevano sorpreso di più erano stati realizzati da giovanissimi, all'epoca 20-23enni. Mi hanno commosso tanto i loro film, che erano molto diversi dalle immagini che siamo abituati a vedere quando si parla di cinema in un contesto di guerra, non erano film per la televisione o film realizzati da persone che non erano coinvolte negli eventi. Erano spesso film molto improvvisati ma, allo stesso tempo, mi davano accesso ai sentimenti delle persone che vivevano in una città ormai sotto assedio. Alcuni di loro erano sorpresi che avessi trovato i loro film e che fossi riuscito a identificarli, che fossi interessato a loro. C'erano delle caratteristiche comuni che ci univano: il fatto che fossimo della stessa età e che fossimo tutti cineasti. Per molti di loro quel periodo era stato molto traumatico e tornare a quelle immagini significava lavorare su se stessi, cosa a volte difficile.

Cosa l'ha spinta a lavorare con immagini d'archivio? Il cinema rappresenta ancora una forza rivoluzionaria e politica?
Lavoro con le immagini d'archivio da molto tempo. Quando ero molto giovane, ancora in fase di formazione, mi è stato chiesto di montare filmati preesistenti per una mostra e quello che pensavo sarebbe stato un lavoro noioso, o comunque poco interessante, si è rivelato piacevole e affascinante. È stato molto istruttivo lavorare con questi film preesistenti e poi farne un altro. Mi permette di immergermi nella storia, di cercare di capirla. Mi piacciono molto le immagini d'archivio perché possono parlare anche al presente. Vado alla ricerca di queste immagini perché mi parlano e rispecchiano gli eventi attuali. Mi piace andare alla ricerca di immagini d'archivio, filmati, estratti di trasmissioni, cose che sono state mostrate molto poco o che sono state considerate poco importanti. Spesso la storia ufficiale è scritta da grandi racconti, dalla televisione, da grandi film, ma ci sono anche altre immagini che la compongono, e sono queste immagini che dobbiamo cercare per dimostrare che non è sempre una questione di "fabbricazione". Se diciamo che il cinema è politico, significa che ha un effetto sul mondo, sugli spettatori. Ho fatto un film come questo perché avevo bisogno di sapere perché questi giovani, che all'epoca erano soldati, stavano filmando. Ognuno mi ha dato una risposta diversa, ma per tutti loro il cinema era necessario, li aiutava a sopravvivere, a dimenticare, a evitare il fronte. Avevo bisogno di capire come, in certe situazioni, il cinema possa salvare delle vite.

Qual è il suo rapporto con il montaggio? Come crea un dialogo tra passato e presente?
I filmati d'archivio che ho utilizzato per il mio film erano spesso molto difficili da capire e da afferrare. A volte erano solo dei giornalieri. La cosa interessante e stimolante era che i registi erano vivi, quindi potevo chiedere loro come e perché avevano girato certe immagini. Questo mi ha portato a strutturare il mio film in due parti: la parte sull'archivio e quella in cui ho intervistato i registi. Soprattutto, non volevo che scoprissimo le immagini con il commento dei registi. Avevo bisogno di questa prima parte, fatta di filmati d'archivio, per raccontare la storia di una guerra di cui spesso non capiamo nulla. Come spettatore, credo sia importante chiedersi cosa si sta guardando. Quando si vedono queste immagini per la prima volta, il più delle volte ci si perde se non si ha una spiegazione, una didascalia o qualcuno che ce le spieghi. Non dobbiamo dimenticare che si trattava di giovani registi che non avevano bisogno di spiegare le loro scelte; stavano semplicemente vivendo la guerra, riprendendo ciò che accadeva davanti ai loro occhi. Quello che poteva essere naturale per loro non lo è più per noi, perché non siamo più nello stesso contesto. Inoltre, volevo mostrare che il tempo passa, per vedere come i ricordi si riattivano.

(Tradotto dal francese)

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