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VENEZIA 2023 Settimana Internazionale della Critica

Beatrice Fiorentino • Delegata generale, Settimana Internazionale della Critica di Venezia

“Ci piace dimostrare che il cinema è vivo. Ci interessa il presente del cinema, in relazione con il presente del mondo”

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- Con la responsabile della programmazione abbiamo parlato delle modalità di selezione dei titoli della 38ma edizione, di temi e tendenze, delle scoperte che sono entrate nella storia del cinema

Beatrice Fiorentino • Delegata generale, Settimana Internazionale della Critica di Venezia

Con Beatrice Fiorentino, la responsabile della programmazione della Settimana Internazionale della Critica (SIC) di Venezia, abbiamo parlato delle modalità di selezione dei titoli della 38ma edizione (dal 30 agosto al 9 settembre, durante la 80° Mostra di Venezia) , di temi e tendenze, delle scoperte che sono entrate nella storia del cinema.

Cineuropa: Durante la presentazione del programma hai detto che i film di questa edizione esprimono “un cinema che guarda al presente con uno sguardo politico senza trascurare lintrattenimento e il racconto, un cinema che racconta storie ma senza perdere di vista la forma”. Qual è la formula magica della SIC per scovare e materializzare queste perle nel panorama europeo e mondiale?
Beatrice Fiorentino: Accidenti, l’hai scoperto, ho un segreto! Scherzi a parte, anche la risposta a questa domanda è nella stessa presentazione. “È una questione di sguardo”. Lo sguardo di chi i film li fa, ma anche di chi li cerca. La vulgata secondo la quale una selezione si fa a partire dall’esistente è vera solo in parte, nel senso che non si può avere un’idea precostituita, ovviamente la ricerca si basa sulla produzione recente, ma bisogna almeno sapere cosa si sta cercando o quanto meno ciò che non si sta cercando. Alla SIC andiamo sempre a caccia di novità, di sorprese. Non cerchiamo l’ovvio e il già visto, i film preconfezionati, prevedibili nell’idea e nello sviluppo. Cerchiamo uno sguardo, appunto. Un’intenzione, un’assunzione di rischio. Una proposta formale interessante e coerente che possibilmente sappia parlare a tutti, o almeno a molti. Ci piace dimostrare che il cinema è vivo. Ci interessa il presente del cinema, anche in relazione con il presente del mondo. A noi resta solo il compito di riconoscerlo. Di solito si procede prima a una mappatura il più ampia possibile, poi passiamo al setaccio. Un grande aiuto ci arriva anche da fondi, produttori e sales con i quali abbiamo stabilito un rapporto di particolare fiducia. Hanno capito che tipo di proposta stiamo cercando di portare avanti e ci danno delle indicazioni mirate e sensate.

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Quali spostamenti tematici avete registrato negli ultimi anni?
Di anno in anno registriamo urgenze diverse, anche se non inseguiamo il “trend topic” a ogni costo. In certa misura assecondiamo le tendenze più significative, ma senza esserne schiavi. L’anno scorso, ad esempio, il tema dell’identità sessuale è stato dominante. La necessità di ragionare sulla questione era particolarmente evidente e ne è uscito un programma esplicitamente queer, ma anche perché la proposta formale era terribilmente varia e interessante. Quest’anno il numero di film a tematica LGBTQI+ non è stato forse tanto inferiore, ma la carica espressiva non era più la stessa, ci è sembrato essersi parzialmente esaurita o banalizzata. La questione dell’identità è ancora presente ma in termini più vasti, universali, esistenziali; si ragiona molto anche sulla relazione tra individuo e spazio e su un rapporto dialettico tra passato e presente. I temi quest’anno sono più vari, abbracciano questioni anche sociali ma in maniera non eccessivamente esplicita, talvolta filtrati attraverso i codici del cinema di genere. Piuttosto, un dato impressionante che abbiamo registrato è la crescita del documentario, sia in termini quantitativi che qualitativi. Basti pensare che in selezione ne abbiamo programmati quattro su nove titoli complessivi. Non era mai successo.

Quali sono i titoli che più colpiranno lo spettatore per l’originalità dello sguardo?
Difficile a dirsi perché sono molto diversi tra loro e tutti decisamente “unici”: tra i titoli più sorprendenti comunque vedrei Hoard [+leggi anche:
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intervista: Luna Carmoon
scheda film
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, esordio potentissimo di una regista molto giovane (26 anni, solo 24 all’epoca delle riprese). Si tratta di una storia molto forte, tenera e sgradevole, in parte autobiografica. Luna Carmoon è piena di talento e ha immenso coraggio. Non si ferma davanti a nulla, ma nulla è gratuito. Farà molta strada. E poi c’è Le Vourdalak [+leggi anche:
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intervista: Adrien Beau
scheda film
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, un film antico e moderno, tratto da una novella di Tolstoj (Aleksej, cugino del più celebre Lev). Adrien Beau recupera una dimensione artigianale del fare cinema, si richiama a maestri del passato (Bava, Corman, Rollin, Parajanov) ma non rinuncia a una chiara visione politica che ha ancora a che fare con il presente. E Life Is Not a Competition, But I’m Winning [+leggi anche:
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intervista: Julia Fuhr Mann
scheda film
]
, un oggetto un po’ alieno, ibrido, non facilmente classificabile. L’uso del digitale qui è un atto politico e serve a riscrivere almeno in parte la storia delle Olimpiadi, una storia parzialmente “truccata”, di certo per le atlete donne. Abbiamo amato l’approccio queer di Julia Fuhr Mann e il suo sguardo originale nel panorama del cinema tedesco, guardando un po’ a Leni Riefenstal, un po’ a Fassbinder. Anche gli altri titoli piaceranno al pubblico, sono solo leggermente più "classici".

Nove esordi.  Ogni anno suona come una scommessa. Quante di queste “promesse” sono state mantenute, hanno avuto un seguito, sono diventate storie di successo negli anni?
L’anno scorso abbiamo proposto, come evento speciale, il restauro del film O Sangue di Pedro Costa a trentatré anni dal suo esordio alla SIC. Per l’occasione chiesi a Enrico Magrelli, delegato generale all’epoca della sua scoperta, di intervenire sul nostro catalogo ripensando a quel momento. Scrisse una cosa bellissima. Disse che alla Settimana della critica piantiamo dei semi. Solo alcuni di questi germogliano e crescono, diventando, talvolta, delle solide querce. Ebbene, proprio pochi giorni fa il festival di Locarno ha assegnato il Pardo d’oro alla carriera ad Harmony Korine, un’altra scoperta SIC. Ma da noi sono passati anche Olivier Assayas, Mike Leigh, Pablo Trapero, Abdellatif Kechiche, Peter Mullan, Kenneth Lonergan, Bertrand Mandico. E tra gli italiani Antonio Capuano, Carlo Mazzacurati, Roberta Torre, Salvatore Mereu, Vincenzo Marra. La SIC rappresenta quindi un’opportunità. Un seme. Quest’anno ne piantiamo nove e speriamo che diventino tutti solide querce. Non è solo una speranza, ma è anche il nostro augurio più sincero.

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