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SUNDANCE 2024 Concorso World Cinema Dramatic

Klaudia Reynicke • Regista di Reinas

“C’è anche un po’ di me in questo film”

di 

- La regista svizzera-peruviana si esprime sulla genesi del suo ultimo lungometraggio, sull’importanza dei ricordi riletti attraverso il filtro del presente e sul potere evocativo della musica

Klaudia Reynicke • Regista di Reinas

In occasione della sua première a Sundance, abbiamo incontrato Klaudia Reynicke che ci ha parlato con passione del suo ultimo sorprendente lungometraggio Reinas [+leggi anche:
recensione
intervista: Klaudia Reynicke
scheda film
]
, un ritratto al contempo toccante e ribelle come l’adolescenza stessa di una famiglia che sta per affrontare l’ignoto.

Cineuropa: Dove nasce l’idea del film? Si tratta di ricordi legati alla tua storia personale?
Klaudia Reynicke: Il film nasce, in parte, dal mio bisogno di tornare alle radici. Sono partita dal Perù a dieci anni con mia mamma e il mio patrigno e in seguito mi sono spostata tanto quindi c’è anche un po’ di me in questo film. Sono figlia unica ma, come nel film, l’ultima volta che ci siamo ritrovati tutti in famiglia in Perù avevo quattordici anni. In seguito tutta la famiglia si è spostata negli Stati Uniti dove ho vissuto per otto anni. L’ispirazione per il film l’ho tratta dalla mia storia personale, dalla volontà di riconnettermi con le esperienze legate alla mia infanzia. Dopo tanti anni all’estero e sebbene abbia sempre parlato spagnolo con mia mamma, non avevo però più un vero legame con il Perù. Ci sono ritornata ancora un paio di volte in vacanza, come turista, ma non è stata più la stessa cosa. Nei miei film parlo sempre di cose che conosco e in questo film in particolare volevo raccontare i sentimenti legati ad una partenza. È un momento molto intenso che volevo raccontare da vari punti di vista: quello delle bambine ma anche quello dei genitori.

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Le protagoniste del tuo film sono donne forti e indipendenti, come ti posizioni a questo proposito?
Credo che ognuno leggerà in modo diverso questo film. Anche se mi considero femminista non ho scritto il film in questi termini. Ovviamente, essendo una donna esprimo il mio punto di vista in quanto tale. Detto ciò, uno dei protagonisti centrali, fondamentali del film è comunque un uomo, Carlos, il padre. Le donne sono effettivamente forti, come nel caso di Elena che non vuole partire per amore o essere salvata da un uomo ma per costruire una vita migliore per sé e le sue figlie. Elena è pragmatica, ha trovato un lavoro all’estero, ha studiato, parla diverse lingue ed è per questo che può portare le sue figlie all’estero. Questo è forse il lato più femminista del film. Devo dire che mi è capitato, in fase di montaggio, di mostrare il film ad alcune persone, quasi sempre uomini, che mi hanno detto: “ma che strana questa Elena, non lo so, è fredda”. Lo Dicevano solo perché è una donna indipendente, perché se ne frega di quello che pensano gli altri.

Come riesci a fare dialogare in modo così intenso universo sonoro e visivo?
Con la musica non ho un rapporto complicato ma complesso, nel senso che ogni pezzo, per me, è un personaggio. Per me è piuttosto complicato lavorare con un compositore. Per il film ho quindi deciso di prendere dei pezzi preesistenti e devo dire che mi sono divertita moltissimo. Già durante la stesura della sceneggiatura avevo selezionato molti brani ma poi, durante il montaggio, ne sono apparsi altri. Dopo mesi di ricerca c’erano però ancora tre scene importanti per le quali non avevo trovato i brani giusti. Ho allora contattato il mio amico Gioacchino Balistreri chiedendogli di creare insieme questi ultimi tre brani.

Le due giovani protagoniste sono incredibili, come le hai trovate?
Il processo di casting è stato complicato perché io non ero sul posto e nessuno dei ragazzi che passava il casting mi convinceva. Come per gli altri miei film, preferisco lavorare con ragazzi e bambini senza esperienza attoriale previa. Se vengono dalla pubblicità o dalla TV non riesco più a farli dialogare con il mio personale linguaggio cinematografico. Dopo il Covid, i casting manager sono andati in un centro commerciale dove hanno trovato la ragazzina più piccola, Abril Gjurinovic. L’ho trovata subito fantastica. In seguito abbiamo scoperto che aveva una storia molto simile a quella della protagonista, Lucia, perché anche lei era partita all’estero, a Bruxelles con la mamma. Avevo in mente un’idea, non un viso, ma ho capito immediatamente che Abril poteva incarnare quest’idea. Per quanto riguarda Luana Vega, che interpreta Aurora, la storia è molto divertente perché lei è la figlia del coproduttore peruviano Daniel Vega. Viene da una famiglia 100% cinema ma non ne vuole saperne di lavorare in questo campo e soprattutto di fare l’attrice. Ma, grazie alla complicità del padre e di un’amica, sono riuscita a convincerla. Avevo un po’ paura che non avendo questa voglia si stufasse ma no, è stata super professionale, irradia una verità allucinante.

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