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BERLINALE 2024 Concorso

Piero Messina • Regista di Another End

“Gael e Renate insieme sul set erano come il vento che entra e sposta le cose”

di 

- BERLINALE 2024: Il regista siciliano ci ha raccontato alcune fasi del lavoro sulla sua opera seconda, un dramma sentimentale distopico presentato in concorso a Berlino

Piero Messina • Regista di Another End
(© Dario Caruso/Cineuropa)

Abbiamo incontrato il regista italiano Piero Messina. Il suo secondo lungometraggio, intitolato Another End [+leggi anche:
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intervista: Piero Messina
scheda film
]
e presentato in concorso alla 74ma Berlinale, ha come protagonisti Renate Reinsve e Gael García Bernal. Messina ci ha raccontato diversi aspetti della realizzazione del film, soffermandosi in particolare sulla scrittura e sulla recitazione.

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Cineuropa: Com’è stato scrivere il film ad otto mani e com’è cambiato nel corso degli anni rispetto al concept iniziale?
Piero Messina:
Molto ed in maniera naturale. Quando ho letto il soggetto anni fa avevo trovato molto affascinante l’idea di poter traferire la memoria di un defunto in un corpo ospite. Non si parlava di terapia del lutto, c’era una tecnologia che prometteva l’eternità... Era un soggetto molto bello, ma molto diverso e dal respiro pienamente fantascientifico. [..] Ho pensato subito che sarebbe stato bello utilizzare questo spunto e calarlo in una storia d’amore, sfruttare questo espediente all’interno di un racconto che sia innanzitutto un melodramma, che parla della separazione di due persone. Ho prima lavorato con i ragazzi che hanno scritto il soggetto, Valentina Gaddi e Sebastiano Melloni, e poi con il mio sceneggiatore, Giacomo Bendotti. In una seconda fase molto più lunga, abbiamo ritrasformato il film, portandolo ad essere quello che è oggi. Il processo di scrittura è stato molto bello, ci tengo a dirlo. Funziona in un modo che ormai conosco: per me ci sono tantissime cose che ad un certo punto, in maniera misteriosa, si armonizzano in un’immagine che inizia ad essere “il film”. Ricordo d’aver visualizzato l’immagine di due corpi che, nel silenzio d’un risveglio, si osservano e si riconoscono. Nel mistero di quel guardarsi, nella luce di quell’immagine, nel peso dei loro corpi pensavo ci fosse qualcosa di molto interessante da dire sull’amore. La domanda che ci siamo fatti sempre scrivendo era: cosa ami quando ami qualcuno? Ami le parole, ami quello che pensi di sapere di quella persona oppure c’è anche una dimensione corporea, la presenza, lo stare insieme?

Che tipo di suggestioni o indicazioni ha condiviso con Renate Reinsve per aiutarla ad interpretare credibilmente da corpo “ospite” una persona defunta e il suo personaggio fuori dalla simulazione?
Intanto, volevo precisare che ho scelto Renate e Gael come attori poiché avevo in mano una sceneggiatura con alto potenziale fantascientifico – e non era quello il mio focus. Ho deciso da regista che tutto il mio lavoro sarebbe stato quello di combattere il potenziale di genere del film, facendo scelte “contro”. Quindi, ho scelto degli attori che per me sono, oltre che straordinari, “asimmetrici”, ovvero che portano in scena, pur rimanendo fedeli al testo, qualcosa d’inaspettato, di vitale. Gael e Renate insieme sul set erano come il vento che entra e sposta le cose. Sono sempre vivi, connessi con le emozioni. Questo “disordine vivo” è un qualcosa che avrebbe funzionato naturalmente contro la simmetria fatale che questo film aveva con sé – un film freddo, con un contesto fantascientifico che doveva rimanere necessariamente sullo sfondo. Avevo bisogno di attori romantici e con i quali empatizzare. Parlando dei due ruoli di Renate, non volevo creare differenze troppo visibili, perché volevamo giocare molto sui piccoli dettagli. [..] Abbiamo anche lavorato su una cosa per me importantissima: il ritmo. Con Renate il lavoro è stato quello di dare un ritmo diverso ai personaggi: Zoe è vitale; Ebe è molto più rarefatta, pesante.

La sensazione è di essere in una metropoli asfittica. Dove avete girato?
Abbiamo girato quasi tutto in teatri di posa ed una piccola parte alla Défense di Parigi, il distretto finanziario della città: una zona che mi piaceva molto perché ci sono grattacieli ma non dall’aspetto futuristico. Mi piaceva molto questo contrasto tra il futuro che evoca ed il passato che è.

La colonna sonora è variegata ed in linea con il mood narrativo. Che tipo di lavoro ha svolto con il compositore Bruno Malanga?
Avendo un approccio ritmico alla scena, questo spesso sconfina in idee musicali. Molte volte, giro con la musica che ci deve essere nella scena. Rispetto al suo lavoro sulla colonna sonora, Bruno è stato molto libero, mentre io ho scritto alcune canzoni, tra le quali quella dei titoli di coda. La canzone in questione è nata dalla scena in cui Renate balla. Abbiamo fatto tante prove con pezzi esistenti e mi rendevo conto che, ogni volta che la coreografavamo, qualcosa non funzionava. Il problema era che i pezzi erano in 4/4. Io, invece, avevo immaginato quella scena quasi a ritmo di valzer. L’ho scritta proprio perché sapevo bene come doveva muoversi.

Ci sono alcuni climax emotivi – ad esempio, la scena sul divano mentre guardano il film – interrotti bruscamente. Scelta di scrittura o di montaggio?
Scelta di montaggio. Per esempio, quando lui incomincia a rinnamorarsi – anche se non cade subito in questa illusione – e lo vediamo litigare con lei e riabbracciarla, la montatrice Paola Freddi ha provato a “strappare” letteralmente la scena. È una sua idea e devo dire che quando l’ho vista ho sentito questo momento di forte disconnessione e mi sono reso conto che era quello che stava vivendo il personaggio.

Il film presenta molti rimandi o echi a tantissima fantascienza. Quali sono stati i vostri riferimenti?
Tutto quello che mi emoziona da spettatore me lo ritrovo sempre da narratore. [..] Ti posso dire come ho lavorato: non ho dato nessuna indicazione ai miei collaboratori su che tipo di film di fantascienza stavamo facendo. Ho detto: “Io so solo che quello che ci può stare in questo film e quello che non ci può stare. Prendiamo migliaia di foto di città, di oggetti... Li guardiamo e vi dico: questo sì, questo no.” Abbiamo accumulato tantissimo materiale e poi questa selezione solamente “emotiva” ha creato un mondo unico, che certamente non è coerente e riprende altri film. Her di Spike Jonze, per esempio, è un film che ho amato – forse mentre lui cammina per strada pensavo ad Her. Ma non l’ho fatto con coscienza. L’unico che avevo coscientemente in mente era La Jetée di Chris Marker ed in particolare la scena del risveglio.

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