Elina Psykou • Regista di Stray Bodies
"Dovremmo capire se certi processi riflettono le nostre reali intenzioni o se siamo spinti dal capitalismo"
- La regista greca spiega i problemi che ha voluto affrontare nel suo coraggioso documentario sul turismo medico nelle sue varie forme
Al Festival internazionale del documentario di Salonicco, abbiamo incontrato Elina Psykou, che ha presentato il suo atteso film Stray Bodies [+leggi anche:
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intervista: Elina Psykou
scheda film], su una varietà di argomenti controversi. Il film ha ricevuto la Menzione speciale della giuria nel Concorso internazionale (leggi l’articolo). Psykou ci racconta come è nata l'idea del film e le sue opinioni personali sui temi controversi trattati nel documentario, opinioni che però non ha cercato di imporre sullo schermo.
Cineuropa: Com'è nata l'idea di esplorare il trend del "turismo medico" in Europa?
Elina Psykou: L'idea iniziale del film mi è venuta 13 anni fa. All'epoca ero sorpresa dal fatto che l'aborto fosse completamente vietato a Malta e che le donne dovessero quindi cercare altrove un’assistenza medica legale. In Grecia la cremazione non era consentita dalla Chiesa ortodossa e pertanto molti defunti venivano trasportati in Bulgaria, nei forni crematori di Sofia. Così, nella mia mente ho collegato queste due situazioni e mi è venuta l'idea di avvicinarmi a questa sorta di turismo surreale per i problemi inerenti la vita e la morte. Fortunatamente, cinque anni fa, la cremazione è stata finalmente autorizzata in Grecia, quindi la linea narrativa bulgara della storia è stata abbandonata, anche se abbiamo continuato a collaborare con il nostro co-produttore lì, Red Carpet. Quindi mi sono concentrata sull'aborto, sulle procedure in vitro e sull'eutanasia come opportunità per parlare della nascita, della morte e di tutti i viaggi che avvengono intorno ad esse - e di ciò che agli esseri umani è permesso e non è permesso fare. Anche la posizione delle istituzioni religiose è stata importante in tutto questo. Ciò che mi ha sorpreso è che, ad esempio, la cremazione non era consentita nella Grecia ortodossa, ma lo era nella Bulgaria ortodossa.
Questo perché il comunismo ha trasformato la Bulgaria in un Paese prevalentemente laico e la Chiesa è piuttosto liberale su molti argomenti.
Sì, la religione va sempre a braccetto con la politica. Per me era importante anche parlare della posizione dell'Unione europea. Perché vorrei che fossimo più uniti, e non solo per motivi economici. Sono felice che ora, con l'aiuto dell'UE, in Grecia abbiamo una legge che finalmente approva il matrimonio gay. È una buona cosa e vorrei che nell'Unione ci fosse una legislazione più universale che sostenga i diritti umani.
Ma il film dà spazio anche a opinioni controverse, come quella dell'uomo che vede principi eugenetici nella procedura in vitro, e questo fa riflettere. Non temeva di essere attaccata sia dalla destra che dalla sinistra?
Il concetto di eugenetica, ovviamente, è qualcosa di discutibile e mi è stato consigliato di eliminare quella parte. Tuttavia mi è stato chiaro fin dal primo momento che non volevo fare un film attivista, ma far luce anche su diverse prospettive trascurate. Nonostante le preoccupazioni e l'opposizione dei miei collaboratori, sono rimasta ferma nella mia decisione. Il film dimostra anche come il linguaggio e le argomentazioni della sinistra siano state cooptate dalle narrazioni dei conservatori e dell'estrema destra, causando confusione nella società e confondendo le posizioni ideologiche.
D'altra parte, procedure come quella in vitro, ad esempio, aprono un grande e redditizio mercato. Sebbene sia convinta che il nostro corpo sia solo nostro e che possiamo farne ciò che vogliamo, dovremmo riflettere attentamente se una certa procedura è un nostro desiderio autentico o se è, piuttosto, ciò che il capitalismo vuole da noi. Questa è certamente una domanda che vorrei porre con il mio film. Per esempio, una delle mie due protagoniste che volevano concepire in vitro ci è riuscita dopo molte procedure dolorose, ma l'altra ha rinunciato, perché era troppo per lei.
Come avete fatto a trovare i sooggetti e a convincerli a partecipare, data la delicatezza degli argomenti?
Nel corso degli anni abbiamo condotto ricerche approfondite in diversi Paesi, mentre io ovviamente lavoravo ad altri film. È stato molto difficile, ma siamo stati anche fortunati. Come nel caso della donna francese che chiedeva il suicidio assistito. È venuta fuori inaspettatamente e ha arricchito il film con questa storia personale e commovente. L'episodio dei suoi ultimi minuti, girato con il consenso anche dei figli, è forse la parte più forte del film.
I suoi protagonisti hanno trovato pace dopo aver realizzato i loro desideri?
Penso di sì, non solo per i risultati ottenuti, ma anche per aver partecipato al documentario, perché in questo modo hanno condiviso le loro esperienze con più persone, aiutandole a elaborare il loro trauma. Sono anche coinvolti attivamente nella presentazione del film al pubblico.
(Tradotto dall'inglese)
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